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Conte, le condizioni al Pd. «Via libera a Ricci ma no a patti organici»

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Quaranta minuti di one man show. Giuseppe Conte prova a prendere le redini (dell’alleanza M5S-Pd), dà responsi e puntualizzazioni. Il presidente cinquestelle — nella conferenza stampa convocata nella sede romana di Campo Marzio per dirimere la questione della candidatura nelle Marche di Matteo Ricci — usa un po’ il bastone e un po’ la carota. In primis conferma il sostegno alla candidatura per le Regionali dell’ex sindaco di Pesaro.«Non ci sono ragioni allo stato per chiedere un passo indietro a Matteo Ricci, non ci sono elementi a carico della sua colpevolezza. Sarebbe un brutto precedente chiedergli un passo indietro», afferma il leader. E aggiunge: «Abbiamo apprezzato che non c’è stata la tentazione di urlare contro una giustizia a orologeria. Abbiamo apprezzato che non si sia avvalso della facoltà di non rispondere». Ma il leader Cinque Stelle, con l’abilità di un funambolo, tiene il Pd sulla corda. Il sostegno non è una cambiale in bianco.

Le «garanzie»
«Chiederemo a Ricci di adottare alcune garanzie per rafforzare la legalità e l’etica pubblica anche per il nuovo governo regionale con l’adozione di un protocollo di legalità e che vengano adottati presidi e controlli più efficaci per gli affidamenti diretti, nomine e consulenze. Questo è necessario e travalica la questione Marche» precisa Conte e mette anche in chiaro che «se dovessero cambiare le circostanze, se ci dovessero essere fatti sopravvenuti, ne trarremo le conseguenze». Il presidente stellato parla di una decisione condivisa (con tanto di consiglio nazionale convocato di prima mattina), di ascolto della base e dei gruppi territoriali. Ma più che alla pancia del Movimento, il discorso è rivolto altrove. I convitati di pietra sono gli alleati del Campo largo e proprio con loro dosa bene lusinghe e attacchi.

Gli affondi
Se nelle Marche arriva il placet per Ricci, diverso è il discorso su Milano: «Ribadisco la richiesta di dimissioni di Sala, non per un avviso di garanzia, ma perché si è rivelato al centro di un sistema che ha dato il via a un Far West edilizio. Sala deve dimettersi anche perché, dopo aver consentito queste pratiche, ha confezionato con gli uffici del comune la norma Salva Milano». Più prudente il tono quando si parla dei distinguo di Vincenzo De Luca nei confronti di Roberto Fico («Esprime i suoi giudizi»), più tagliente con Eugenio Giani, che cerca una corsa bis da governatore: «In Toscana veniamo da 5 anni di opposizione a questa giunta: l’abbiamo contrastata politicamente su progetti concreti. Quindi oggi di fronte allo stesso candidato che si ripropone, entrare in giunta per noi è un sacrificio davvero notevole. Bisogna valutare se ci sono le condizioni e lo decideranno i territori», sostiene. Pochette d’ordinanza e sguardo dritto rivolto ai cronisti, il presidente M5S tiene a precisare: «I miei toni non si sono ammorbiditi: non ho urlato all’inizio e non urlo adesso».

I toni
Ma non serve alzare i toni per dettare le condizioni. Conte si smarca dalla presa dei dem. «Un’alleanza organica non è possibile per quelli che sono i nostri valori. La nostra base ha scelto di definirsi una forza politica progressista indipendente», sottolinea, anticipando quello che potrebbe diventare uno dei leit motiv che accompagneranno il Campo largo nel 2026. Anzi va oltre, ammonendo i cronisti a non unire puntini per vedere disegni complessivi per le Regionali. A suo dire, ogni caso è una partita a sé stante. È l’unico momento in cui al leader sfugge il suo tradizionale aplomb. «Non anticipate soluzioni che sono in via di definizione. Se ci fosse un collegamento minimo tra Ricci e la candidatura che stiamo valutando in Campania, oltre a Giani, significherebbe che il Movimento Cinque Stelle fa mercimonio sui valori di etica pubblica e che io sono un buffone. Non c’è nessun collegamento», rimarca.

Le campagne
Se il disegno del campo largo e della corsa a Palazzo Chigi è un cantiere in divenire, tuttavia Conte non manca l’occasione di pungere anche la maggioranza di governo. E di precisare che il «suo» M5S non soffre di giustizialismo a corrente alternata. «Quando chiediamo le dimissioni con forza e insistenza della Santanchè non lo facciamo per l’avviso di garanzia ma perché non si può mentire al Parlamento e non rispondere dei fatti già emersi», osserva il leader. Che trova il tempo per bocciare anche la riforma della Rai: «Confesso che non ho letto la proposta delle forze di maggioranza. Se l’ho orecchiata bene, è irricevibile perché consente un colpo di mano da parte della maggioranza di turno». Il leader poi si alza e cala il sipario.

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31 luglio 2025

31 luglio 2025

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