Home / Politica / Conte come il Gambardella della Grande Bellezza: vuole il potere per impedire la «festa» di Elly

Conte come il Gambardella della Grande Bellezza: vuole il potere per impedire la «festa» di Elly

//?#

Ci sono novità nel meraviglioso feuilleton del centrosinistra. I personaggi di questo nuovo capitolo, sempre così pieno di politica e potere e di sinapsi che sfrigolano nella vanità, sono uno che si sente Jep Gambardella (sì, esatto: come il personaggio della Grande Bellezza di Paolo Sorrentino) e Gaetano Manfredi, il sindaco di Napoli.
È l’ultima storia che tutti si raccontano dentro il Pd. Però senza la solita cupezza. Niente occhiate luttuose, stavolta. Piuttosto, una certa, definitiva consapevolezza che rianima, incoraggia, e indica la strada. Poi è chiaro che i toni di voce sono bassi, soffiati. Stanno attenti, per delicatezza, per rispetto, a non farsi sentire. Da chi? Ma come da chi: da Elly, ovvio.

Seguitemi.
Le ultime ore, per i grandi capi dem, sono state fondamentali. Anche grazie a un dettaglio: la pochette. Perché Giuseppe Conte, l’altro giorno, va in conferenza stampa e la rimette nel taschino.
Che strano: Peppiniello ha di nuovo la pochette. Sì, però c’è poco da ridere. Si tratta d’un pessimo indizio. Perché non è un vezzo. È un messaggio subliminale: io, vestito così, con questa pochette, ho già fatto il presidente del Consiglio per ben due volte. Poi l’hanno sentito parlare.
Non per essere pedanti, un breve riassunto è necessario. Allora: il leader dei 5 Stelle convoca giornali e televisioni dopo aver tenuto appeso il Pd per una settimana. Non è una metafora. È successo. Conte ha preso il Pd per un orecchio e l’ha tenuto, ostentatamente, a penzoloni: «Intanto, mi leggo bene le carte di Affidopoli, quindi aspetto di capire come si comporta Matteo Ricci davanti ai magistrati. Ci ragiono un po’ su, e poi decido: se continuare a sostenerlo alle Regionali, oppure lasciare che vada a sbattere da solo».

Del panico scatenatosi al Nazareno, vi è già stato riferito. Situazione a dir poco umiliante. Lui, cioè Conte, dal suo punto di vista, l’ha gestita magnificamente. Chiudendo con una conferenza stampa memorabile. Perché prima rifila una carezza pelosa a Ricci (gli conferma l’appoggio, ma promette di tenere d’occhio le prossime mosse dei magistrati). Poi inizia a dispensare randellate micidiali. Dice che correre in Toscana assieme a Eugenio Giani è per lui un «sacrificio notevole» (sa che i dem, lì, dovrebbero vincere facile anche da soli: però si diverte a precisare per puro sfregio). Sottolinea di non essere disponibile ad alcun «mercimonio» in Campania, dove quel sultano di Vincenzo De Luca sta dettando le sue condizioni per appoggiare la candidatura del grillino Roberto Fico. Chiede le dimissioni di Beppe Sala, colpevole — secondo il tribunale a 5 Stelle — di un Far West edilizio a Milano. Chiude netto: «Un’alleanza organica è, perciò, impossibile».

I capi dem ascoltano. E, un minuto dopo, scatta la sarabanda di telefonate e WhatsApp. Con dentro un ragionamento politico il cui succo è, più o meno, questo.
Conte è del tutto inaffidabile. Ci mortifica con ferocia, si fa inseguire e, spesso, finisce con il dare lui le carte. Infido: però — va ammesso — davvero abile. Elly si ostina a ripete che «dobbiamo essere testardamente unitari», ma s’illude. Conte, quando saremo dentro le elezioni politiche, o prima del voto (se dovessero cambiare la legge elettorale e fosse necessario indicare subito il candidato premier della coalizione), o subito dopo, con le regole attuali, si siederà e dirà: il candidato premier lo faccio io, che già so come si governa un Paese. Elly s’impunterà, spiegando che vuole farlo lei, perché è la segretaria del partito che ha più voti. Allora lui — splendida immagine di un senatore dem — «entrerà in modalità Jep Gambardella/Toni Servillo». Con la celebre frase: «Io non volevo solo partecipare alla feste, volevo avere il potere di farle fallire». Tradotto: «Non sarò premier io, ma non lo sarai nemmeno tu, cara Schlein».

A quel punto, che si fa? Poiché è lunare immaginare di far partecipare Conte a primarie di coalizione, meglio portarsi avanti e avviare un casting per trovare un candidato di mediazione. Che possa piacergli. Idea forte: Gaetano Manfredi. Stimato, rassicurante, eletto alla guida di Napoli grazie al prototipo d’un autentico Campo largo, presidente dell’Anci e, in più, autorevole professore: un simil Prodi, insomma.
Con Manfredi candidato premier, i comandanti dem pensano che a Conte potrebbe poi andare bene la promessa di diventare presidente del Senato, o ministro degli Esteri.
Lo schema, per adesso, è questo.

Senza tralasciare, s’intende, la costruzione di un nuovo centro che guardi a sinistra (con dentro la rete di Ruffini, pezzi di mondo cattolico con Ciani e Tarquinio, il rampante assessore romano Onorato). Progettano e indirizzano i soliti Dario Franceschini (nell’ombra) e Goffredo Bettini (al ritmo di un’intervista a settimana). La direzione lavori è stata affidata a un esterno: Matteo Renzi. A Silvia Salis, sindaco di Genova, l’hanno già comunicato formalmente: «A capo del nuovo partito potremmo mettere te».
C’è altro? Direi di no. A parte questa precisazione: «Naturalmente, sempre niente di personale con Elly». Che bugiardi.


Vai a tutte le notizie di Roma

<!–

Corriere della Sera è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.–>

Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma

1 agosto 2025 ( modifica il 1 agosto 2025 | 23:24)

1 agosto 2025 ( modifica il 1 agosto 2025 | 23:24)

Fonte Originale