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Conte-Allegri di nuovo contro dopo 12 anni, tutte le differenze: la vita privata, il rapporto con i calciatori, la comunicazione

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Negli ultimi giorni di maggio la vox populi raccontava di un imminente avvicendamento tra Antonio Conte e Massimiliano Allegri sulla panchina del Napoli, una ripetizione di quanto accadde nell’estate del 2014, quando Conte si dimise dalla Juventus e Allegri venne scelto come suo successore. Era un’indiscrezione fondata perché Aurelio De Laurentiis, in attesa che Antonio chiarisse le sue intenzioni, aveva bloccato Max: mica poteva farsi cogliere impreparato e sbagliare di nuovo allenatore, com’era successo in seguito all’addio di Spalletti. Ma nelle ore successive alla conquista del titolo la postura di Conte, dubbiosa fin lì, virò verso la permanenza, mentre dall’altro lato il Milan puntò con decisione su Allegri, fino ad annunciarlo. Le decisioni di quella settimana costituiscono la base del grande match in arrivo domenica, perché Milan-Napoli vale la zona altissima della classifica e il primo plus psicologico in palio quest’anno: chi vince prende tre punti e assesta tre schiaffi.

Personalità

Pur non essendosi realizzato, il solo fatto che l’avvicendamento fosse apparecchiato per ripetersi ci dice tanto del peso della personalità di questi due allenatori. Conte e Allegri hanno poco in comune dal punto di vista tecnico, quasi zero da quello caratteriale, e se passiamo alla sfera personale non potrebbero essere più distanti. Ma sanno farsi seguire: non da immateriali follower, ma da 25 atleti in maggioranza multimilionari, che fuori dallo spogliatoio vengono serviti e riveriti da schiere di agenti, social manager, guardaspalle e procuratori (non di contratti, di qualsiasi cosa), ma dentro le sacre mura parlano solo se quel signore — quel mister — li interroga. Perché ciò accada occorre una leadership fuori dalla norma.

Il passato

La differenza tra Conte e Allegri parte dall’inizio, da quando giocavano. Conte metteva tanta qualità dentro alla quantità, che era la sua dote principale. Allegri non si è mai preoccupato di aggiungere alla sua indubbia qualità uno straccio di quantità. Così il primo è stato una mezzala di corsa e di governo, capitano della Juve (5 scudetti e una Champions) e buon frequentatore della Nazionale. Il secondo ha vinto al massimo una Coppa Italia di serie C passando la giovinezza a fare il trequartista di squadre cult — per noi romantici — come il Pescara di Galeone. Ai tempi di Cagliari Max alloggiava all’hotel Mediterraneo, quello dei giornalisti, e scendeva in ciabatte a farci colazione deliziando la platea col suo humour esilarante già allora, ma meno corrosivo di oggi. C’era la storia della promessa sposa piantata praticamente sull’altare a tenere banco, coi suoi richiami alla scena madre di Blues Brothers con John Belushi preso a mitragliate da Carrie Fisher. 

Davvero poco a che fare anche nel privato con Conte, che si presentò al primo appuntamento con la futura moglie Elisabetta in Porsche, e lei lo invitò a cambiarla con un’auto meno chiassosa. I due restano una coppia splendida anche a distanza di anni. Max, beh, ne ha combinate. Giulia Mancini, da anni preziosa manager di Conte, alla fine di interviste in cui Antonio aveva predicato la sua etica del lavoro chiamava per sussurrare «guarda che si diverte anche eh, non dipingerlo troppo serio». Nessun agente ha mai ritenuto necessario precisarlo per Max.

Tattica

Conte sviluppa alla Juve una versione aggressiva della difesa a tre, che è un canone prudente, e con quella vince titoli lì, al Chelsea, all’Inter e in mezzo ci mette un brillante Europeo con la Nazionale più modesta di sempre. A Napoli torna dopo quasi quindici anni alla difesa a quattro, che era stato il primo cambiamento apportato all’epoca da Allegri alla sua Juve: la crescente qualità delle punte (Higuain, Dybala, Ronaldo) gli permetteva di tenere bassa la squadra, ché tanto per quelli il gol non era un problema, e poi con Chiellini e Bonucci difendere nella propria area era un must. E quindi Conte disegna un meccanismo e ci inserisce i giocatori, mentre Allegri compie l’operazione opposta. Ma è il modo in cui sanno trattarli — lo ripetiamo — a fare la differenza. 

Anche perché la dialettica è tanta parte del lavoro, e la sua decrittazione la sfida che ci viene lanciata. Quando Conte asserisce che quello del Napoli non sia stato un grande mercato, le risposte possibili sono due: ha ragione se si riferisce all’Europa, perché è chiaro che dal Liverpool in giù molte squadre hanno speso follie, ha torto se parla di serie A, perché il Napoli ha allargato la rosa come nessun altro. In ogni caso sottolinea così quanto lavoro debba mettere nello sviluppo della squadra, anche se è quella che ha appena vinto lo scudetto. Quando Allegri ripete che il calcio è semplice, provoca perché la disputa ideologica che certamente gli ha tolto qualcosa è un danno forse perdonato ma di sicuro non dimenticato. Che poi l’asserzione fa a pugni con l’entità del suo staff — dieci figure professionali, se il calcio fosse complicato quante ne chiederebbe, venti? — ma non col suo metodo, basato sull’intuizione da cavallaro più che sulle ore passate al video. Sai che noia.

26 settembre 2025

26 settembre 2025

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