Meno negozi? Meno qualità della vita e meno economia. Perché non avere vicino a casa o nel proprio quartiere un negozio sottrae spazi di socialità e fa abbassare il valore degli immobili. L’equazione può sembrare evidente, ma a metterla nero su bianco con quanto ne pensano gli italiani a riguardo è un’indagine sulla desertificazione commerciale nelle città, realizzata da Confcommercio in collaborazione con Swg, e pubblicata il 20 novembre. La qualità della vita urbana – emerge dall’indagine – è data dalla presenza di bar e ristoranti (78% del campione), seguiti dagli spazi verdi (66%) e dai negozi (65%). Le attività di quartiere sono riconosciute come presidi di comunità: per il 64% favoriscono la socialità, per il 62% migliorano la cura e la pulizia degli spazi pubblici, per il 60% aumentano la sicurezza e per il 57% tutelano le persone più fragili. Anche i dehors — pur con qualche criticità legata alla mobilità — sono apprezzati dagli italiani perché favoriscono la convivialità (84%) e rendono più belli gli spazi urbani (69%).
Commercio e vitalità urbana
Nonostante la crescita dell’e-commerce, il 67% degli italiani dichiara di volere più negozi di vicinato nel proprio quartiere per minimizzare gli spostamenti e il 68% vorrebbe un mix di negozi piccoli e medi per avere maggiori possibilità di scelta. Percentuali che raggiungono punte del 75% al Sud e nelle città medio-piccole. «Il commercio locale – analizza Confcommercio – non è percepito come residuo del passato, ma come infrastruttura sociale che ancora oggi garantisce accessibilità, identità e vitalità urbana.
Le attività scomparse
La chiusura dei negozi preoccupa gli italiani: l’80% prova un senso di tristezza nel vedere saracinesche abbassate, il 73% collega la chiusura dei negozi al calo della qualità della vita. Rispetto a dieci anni fa le attività scomparse che gli italiani hanno notato maggiormente sono i negozi di libri, giornali, articoli sportivi e giocattoli (55%), le attività non alimentari – come abbigliamento, profumerie, fiorai, gioiellerie, ottici – (49%), ferramenta e negozi di arredamento e tessuti (46%), alimentari (45%), ambulanti (39%). Il fenomeno è più avvertito nel Nord-Est e nel Centro e nelle grandi città. Solo due categorie appaiono in controtendenza: farmacie e pubblici esercizi sono le uniche attività percepite in leggera crescita.
Negozi e immobiliare
La presenza di negozi – analizza Confcommercio – incide anche sul valore immobiliare delle aree urbane. Un appartamento in una zona ricca di negozi vale mediamente il 23% in più rispetto a un immobile situato in un’area mediamente servita, mentre nei quartieri colpiti dalla desertificazione commerciale il valore degli immobili scende del 16% con una differenza che arriva al 39% se paragonata ad abitazioni situate in zone con una grande presenza di negozi.
Tengono le farmacie
Negli ultimi dieci anni – fotografa lo studio – gli italiani hanno percepito la chiusura di attività di quartiere: il 55% ha notato la scomparsa di negozi di articoli sportivi, librerie e giocattoli, il 49% di abbigliamento, profumerie e gioiellerie, il 46% di ferramenta e arredamento, il 45% di alimentari. In controtendenza, risultano solo farmacie e pubblici esercizi. Secondo l’indagine, bar e ristoranti costituiscono il principale elemento che contribuisce alla qualità della vita urbana (per il 78%), seguiti da spazi verdi (66%) e negozi (65%).
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20 novembre 2025
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