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Conca, un quasi dilettante campione d’Italia su strada è il sintomo della crisi del nostro ciclismo

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Tre nei primi quindici: il nuovo campione Filippo Conca, Mattia Gaffuri (5°) e Niccolò Pettiti, 13°. Domenica a Gorizia il ciclismo italiano ha vissuto il momento più sconcertante degli ultimi decenni. La maglia tricolore dei professionisti (appannaggio in passato tra gli altri di Bartali, Coppi, Gimondi, Moser e Nibali) è stata vinta da un dilettante/cicloamatore lecchese di 26 anni, Conca, mentre due suoi compagni con la stessa qualifica dopo averlo aiutato a piazzare la volata si sono classificati tra i primi.

Conca aveva corso quattro anni tra i professionisti con risultati modesti ma decorosi prima di essere espulso dal sistema. Si era trovato un lavoro normale, ma non aveva mollato la bici grazie a una squadra non squadra (Swatt Team) che raccoglie corridori «dispersi» senza contratto fornendo loro gli strumenti minimi per gareggiare. Il confuso regolamento federale permette ad atleti non professionisti di gareggiare tra i pro e anche di vincere specie se, come domenica, le grandi squadre schierano corridori stanchi, malati, svogliati e diretti malissimo dall’ammiraglia. Quello che certo è che – se non troverà un contratto – per la prima volta nella storia del professionismo Conca non potrà mai vestire la maglia tricolore in gara.

La vicenda – del tutto inedita – ha gettato nello sconcerto gli appassionati e segna il punto più basso di un movimento glorioso dalla storia centenaria ma in crisi profonda. Un elemento va chiarito: Conca è un buon corridore. Ci sono professionisti italiani meno dotati (anche molto meno dotati) di lui con un contratto in forza e risultati nulli. Dopo lo scandalo del «Pago per correre>» che il Corriere aveva raccontato nel 2017, nessuno si sta preoccupando di valutare se nel nostro Paese esistano ancora corridori che «si portano lo sponsor» (aziende di famiglia, genitori ambiziosi) per pagarsi lo stipendio (la morte del professionismo) o se firmino più contratti con la stessa squadra (uno, due o tre anni) per permettere ai manager di liquidarli rapidamente se non ottengono subito risultati o vincolarli per poi magari rivenderli se vincono.

Lo sfogo di Conca in lacrime dopo il traguardo («Ho vinto io, in questo ciclismo…») è eloquente e rende l’idea di un corridore che non ha accettato scorciatoie contrattuali, è stato espulso dal sistema e l’ha messo in crisi battendo domenica fior di (presunti) campioni.
Il suo successo ha mostrato l’enorme fragilità del sistema: il ciclismo italiano non è in grado di organizzare un campionato di livello decoroso. Metà dei partecipanti della prova di Gorizia non sono arrivati al traguardo, metà degli arrivati oscilla tra dilettantismo e attività amatoriale. E fanno sorridere le dichiarazioni del presidente della Federciclismo Dagnoni che parla dei Campionati Italiani come di «splendida narrazione che conserva un posto privilegiato nel cuore degli appassionati». Sabato al Tour de France che scatta da Lilla ci saranno sette o otto italiani contro i 16 del 2016, i 26 del 2005, i 60 del 1995. Il ciclismo professionistico italiano è ai limiti dell’estinzione. Se vogliamo cambiare le cose, la Fci deve ripartire da zero e con coraggio. 

30 giugno 2025 ( modifica il 30 giugno 2025 | 16:22)

30 giugno 2025 ( modifica il 30 giugno 2025 | 16:22)

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