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Come riaffiorano i ricordi dimenticati (Marcel Proust lo aveva già capito)

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Anche se non ce lo ricordiamo lucidamente, il nostro passato influenza il nostro presente? A questa domanda risponde uno studio dei ricercatori dell’Università di Berna diretti da Tom Willems appena pubblicato su BioRxiv. Nel titolo, «Le tracce neurali dei ricordi dimenticati persistono e sono importanti dal punto di vista comportamentale», ricalca la frase del grande scrittore ottocentesco Marcel Proust, citata nel romanzo «Alla ricerca del tempo perduto», la sua opera più nota: «Quando più niente sussiste di un passato antico, l’odore e il sapore per lungo tempo ancora perdurano», indicando come ritrovarsi a gustare una tazza di tè con le madeleine lo riportasse ai ricordi di quando, da piccolo, i soffici dolcetti a forma di barchetta gli furono offerti per la prima volta dalla madre e dalla zia nell’infuso di tiglio.

Effetto primitivo

Quello che già il famoso scrittore francese aveva intuito oggi viene chiamato Priming effect, cioè «effetto primitivo», un fenomeno che ci fa reagire in modo del tutto personale a uno stimolo che abbiamo già incontrato in passato e di cui ci siamo dimenticati. Si tratta di un’attivazione nervosa di pochi secondi che coinvolge aree cerebrali come la corteccia prefrontale e quella cingolare e che ci fa subito rispondere a un certo suono o a un determinato odore o sapore come aveva acutamente osservato Proust cent’anni fa.

Archivi diversi 

Già abbiamo citato gli scritti di Proust in occasione di uno studio del MIT, nel 2011, che indicava come i ricordi si fissino nella nostra memoria come engrammi appaiati dove l’uno resta legato l’altro (coppie di engrammi mnesici).  Da allora molti progressi sono stati fatti e da un concetto statico dei ricordi siamo passati a una visione fluida legata agli interscambi delle reti neuronali. Oggi sappiamo infatti che alcuni ricordi finiscono nell’ipotalamo e qui restano fissati per sempre e, anche se ce li dimentichiamo, sono soprattutto questi a influenzare le nostre scelte. Altri invece vanno nel giro cingolare della neocorteccia e sono quelli che possiamo ricordare più facilmente anche se col tempo tendono a svanire. Alcuni di questi ultimi però possono trasferirsi nell’ipotalamo e salvarsi: le recenti ricerche sul sonno indicano che è proprio in questa fase della vita che avviene questo salvataggio del tempo perduto. I ricercatori svizzeri dello studio pubblicato su BioRxiv hanno potuto dimostrare queste dinamiche nervose usando una risonanza magnetica funzionale di ultima generazione a 7 tesla e hanno osservato come siano proprio questi circuiti cerebrali ad attivarsi nei ricordi.

Prove di memoria

Per farlo hanno mostrato rapidamente a 40 persone 96 paia d’immagini costituite da un volto e da un oggetto tipo una chitarra, una spillatrice, un martello, ecc. Mezz’ora dopo e poi ancora il giorno successivo hanno chiesto loro di ricordare gli oggetti ripresentandoglieli in ordine sparso: i partecipanti dovevano anche dire se due immagini erano fra loro collegate, se non erano certi di ricordarlo o se invece tiravano a indovinare.
Quelli che si dicevano sicuri di ricordare hanno avuto percentuali di correttezza nelle risposte dell’87 per cento. Il mancato ricordo dell’accoppiamento delle immagini ha portato a risposte corrette nella metà dei casi. Dopo mezz’ora chi diceva di non ricordare con certezza ha indovinato nel 57 per cento dei casi e dopo 24 ore nel 54 per cento.

Meglio del caso 

A seconda del tempo in cui il recupero dei ricordi era effettuato i risultati erano diversi perché legati alla ricerca in una diversa area cerebrale, ma si è comunque sempre trattato di percentuali più alte di quelle che ci si aspetterebbe da una probabilità casuale e ciò indica che i soggetti hanno effettivamente ricordato. Peraltro la risonanza 7 tesla ha fatto vedere che in chi ricordava meglio si attivava l’ippocampo destro indicando che la scelta è stata corretta perché, anche se non se ne rendevano conto, i soggetti andavano a ripescare il ricordo dimenticato proprio in quel profondo archivio.

Dormiteci sopra 

Quindi quando qualcosa non ci torna in mente è laggiù che dobbiamo far accendere la lampadina del ricordo. E se proprio non s’illumina meglio farci sopra una bella dormita per dar tempo e modo al ricordo di trasferirsi nel sonno dalla corteccia cingolare all’ipotalamo dove resterà a disposizione anche per un’interrogazione a scuola dandovi comunque maggior sicurezza perché, anche se vi sembra di non ricordare la materia dell’interrogazione, il vostro ipotalamo se la ricorda benissimo.

24 giugno 2025

24 giugno 2025

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