
Capita a tutti di arrabbiarsi per qualcosa o contro qualcuno.
Lo sfogo può far bene: brevi «scariche» di rabbia rilasciano dopamina, la sostanza chimica legata al piacere.
A breve termine la rabbia (non aggressiva) è «necessaria» alla persona che la prova. Il problema è quando la rabbia si annida nel cuore e lì rimane per mesi o anni, diventando rancore.
Il rancore fa male e non alla persona contro cui è diretto ma a chi lo prova. Le persone che nutrono rancore hanno maggiori probabilità di avere livelli di benessere mentale inferiori e persino di soffrire di depressione: «Il rancore può generare un effetto boomerang – spiega Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta a orientamento cognitivo costruttivista relzionale -. Nasce da un grandissimo senso di ingiustizia che la persona pensa di aver subito e rimane dentro attraverso il rimuginio, rischiando di diventare qualche cosa di doloroso, proprio perché blocca l’individuo su quell’avvenimento».
Il rancore è sempre negativo?
«Se la ruminazione del fatto (che è una delle caratteristiche principali del rancore) viene utilizzata come strumento per regolare le emozioni, per ripensare all’evento, per evitare di ricadere nella stessa delusione, può essere funzionale. Quando è un sentimento che limita la persona e che la ingabbia dentro le motivazioni che sostiene, può diventare patologico, negativo, doloroso».
È un’emozione che, lungi dal liberare la persona e farla sentire sollevata, può amplificare il senso di impotenza, perché?
«Spesso chi prova rancore non riesce ad agire e ad accedere alla possibilità di rivalsa: questa incapacità di reazione genera un senso di impotenza e di bassa autostima», conferma la specialista.
Esistono persone più inclini al rancore? Da cosa dipende?
«Inevitabilmente tutti apprendiamo i comportamenti all’interno della famiglia – specifica la psicologa -. Se nasciamo in un sistema familiare che genera irrisolti, non si confronta, non dialoga questo può dare adito ad una maggiore probabilità che nasca il rancore, anche perché spesso i primi episodi di rancore sono quelli nei confronti dei fratelli. L’altra parte di persone che può nutrire più facilmente rancore sono coloro che hanno subito traumi, umiliazioni, vessazioni (dal bullismo al mobbing, ai maltrattamenti), oppure soggetti che non hanno mai imparato a lavorare sulle proprie emozioni e sul modo di comunicarle agli altri: ogni sentimento rimane bloccato dentro e si può tramutare in rancore».
Come uscire da questa emozione che danneggia noi stessi prima che si tramuti in una vera e propria ossessione?
«Innanzitutto bisogna capire se vi siano margini per lavorare sul senso di ingiustizia. Ricorrere alle istituzioni, richiedere scuse, risarcimenti. Poi con uno specialista si può lavorare sul tema della vendetta così da cercare di trovare modalità di comunicazione con chi ci ha fatto un torto per non infliggere agli altri dolori e ferite per cui noi abbiamo sofferto», afferma Rizzi.
«In autonomia, la persona può utilizzare l’empatia come strumento: calarsi nei panni dell’altro per capire quali possano essere state le motivazioni che l’hanno spinto a comportarsi in quel modo e poi riflettere sull’immagine dell’altro lavorando sulla sua umanità. Si può fare anche con la “scrittura espressiva” che serve a cambiare la propria narrativa raccontando quanto avvenuto nel tentativo di rimodularlo».
«Il perdono è un’altra strada, ma non è sempre facile e automatico: serve che venga fatto prima un lavoro di pacificazione interiore perché altrimenti diventa un “falso” perdono. L’altro grandissimo strumento è parlare con qualcuno che sia in grado di capire, di ascoltare senza giudicare, quale può essere uno psicoterapeuta», aggiunge la specialista.
A volte non c’è un vero e proprio colpevole da additare ma il rancore si annida lo stesso: cosa fare quando non c’è un «bersaglio» da additare?
«In questo caso ci si può interrogare su quale impatto abbia su me stesso questo tipo di pensiero, quanto tempo ed energie mi sottragga stare bloccato su quell’episodio; poi si dovrebbe lavorare sulla regolazione dell’intensità delle emozioni perché il rischio è che ogni volta un episodio anche banale faccia riaccendere quel sentimento. Infine, sarebbe bene lavorare sugli aspetti positivi, aprirsi a nuovi stimoli, volgere lo sguardo verso altro, a ciò che genera gratificazione e soddisfazione».
10 luglio 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA