
Per Paolo Casarin, che di arbitri se ne intende, Andrea Colombo della sezione di Como è «il migliore della nuova generazione». Internazionale dal 2023, a nemmeno 34 anni ha già diretto, molto bene, un derby di Milano. Nella vita, oltre a fischiare, fa il giornalista.
Per aver scritto un articolo tecnico sul fuorigioco per la rivista «Rigore», quando aveva già smesso da anni, nel 2000 proprio Casarin fu sospeso quattro mesi dall’associazione arbitri. Altri tempi.
«Oggi quanto a comunicazione il mondo degli arbitri ha fatto passi da gigante. Giusto così. Dico di più: oggi un bravo arbitro deve necessariamente essere un bravo comunicatore. Ora mi occupo a tempo pieno dell’arbitraggio, ma prima gestivo una società di comunicazione. Lì ho imparato due cose che mi tornano utili: non nascondersi mai ed essere sempre chiaro. In fondo una partita è un po’ come un articolo…».
In che senso?
«C’è sempre un punto chiave, uno snodo decisivo, in una partita come in un articolo. Se lo capisci, lo individui, allora lo puoi gestire. Altrimenti…».
Gli arbitri quando arriveranno a parlare a fine partita, come gli allenatori, spiegando le proprie decisioni?
«Secondo me la domanda è un’altra: oggi il pubblico è pronto a sentirsi dire dall’arbitro la frase “ho sbagliato”? Non lo so».
Quest’anno arriva la novità dell’announcement: dovrete spiegare al pubblico le decisioni dopo la revisione al Var. Che ne pensa?
«Mi piace: spiegare bene una decisione grigia la rende bianca».
Chi è il suo modello?
«Fra quelli in attività il francese Letexier, che ha pressappoco la mia età ma ha già diretto ogni tipo di partita ad altissimo livello. Un fenomeno. È il profilo perfetto dell’identikit di arbitro che richiede oggi la Uefa: non star ma atleti, giovani e normali, anche nell’atteggiamento. Lo stile deve essere: più dialogo, meno fischi».
E fra i maestri?
«Di sicuro Casarin è una leggenda per tutti noi. Infatti leggere che mi segue e mi stima mi riempie d’orgoglio. I miei riferimenti, oltre al designatore Gianluca Rocchi che mi ha insegnato che il modo migliore per arbitrare è seguire sé stessi e il proprio stile, sono Massa, Guida, Mariani, Doveri. Mi insegnano a imparare ogni giorno, a non sentirmi mai arrivato».
L’anno scorso ha diretto il derby di Milano: zero errori. Il «Corriere» le ha dato 7. Non capita spesso, si fidi.
«Quel derby l’ho preparato mentalmente per settimane cullando la mia bambina, in salotto. I tifosi a volte fanno fatica a pensare che l’arbitro sia una persona come tutti, invece è così. Nel tunnel, prima di cominciare, i giocatori mi chiedevano se ero agitato. Li ho guardati e ho notato che loro erano più agitati di me. Lì ho capito che sarebbe andata bene».
Lei è nato nel 1990, quindi è un Millennial. Che rapporto ha con i social?
«Per fare l’arbitro devi fare molte rinunce, fin da ragazzino. E i social fanno parte delle rinunce, per un ragazzo di oggi che con i social è nato e cresciuto. Ma è giusto così: diciamo che è una rinuncia, non un sacrificio».
Quale obiettivo per la nuova stagione?
«Fare bene la prossima partita, qualunque sia».
E per il futuro?
«Confermarmi in serie A, dove ho 47 presenze. Si dice che si diventa arbitro con la A maiuscola dopo le 50. Manca poco, dai. E poi crescere ancora a livello internazionale. Quando esci dall’Italia, rappresenti non solo te stesso ma il tuo Paese. Bellissimo».
La lezione più importante ricevuta?
«Una frase di Orsato: devi solo fischiare e correre, non è così difficile».
22 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA