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Cina superpotenza dell’auto, anzi no: guerra dei prezzi per dare lavoro alle fabbriche, chi ha paura dell’effetto Evergrande?

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A un certo punto della sua storia Evergrande è arrivata a possedere aree sufficienti a ospitare l’intera popolazione del Portogallo e a collezionare investimenti nei settori più disparati: dalle acque minerali ai parchi tematici, passando per il calcio. Poi, verso la fine del 2021, il colosso immobiliare cinese è diventato protagonista di un clamoroso crac, schiacciato da oltre 300 miliardi di debiti e, soprattutto, da una miriade di case invendute. Evergrande è così assurto a simbolo dello scoppio della bolla immobiliare di Pechino, alimentata da anni di finanziamenti delle amministrazioni pubbliche locali. 
Adesso il suo spettro si aggira per l’industria dell’auto cinese, che pure negli ultimi anni è stata protagonista di una rapida e spettacolare ascesa globale.

Il piano di wan Gang

A lungo derise per il design maldestro e le finiture scadenti, oggi le case cinesi producono vetture di qualità e hanno conquistato un indiscusso primato tecnologico nelle batterie. Merito del piano impostato dall’ingegnere (ex Audi), Wan Gang, che nel 2007 da ministro della Scienza ha deciso di abbandonare la competizione con i costruttori occidentali sui motori benzina e diesel per concentrare gli sforzi su una tecnologia «vergine» attorno alla quale sviluppare una filiera d’avanguardia: l’elettrico. 

I sussidi pubblici che hanno gonfiato l’auto cinese

Il progetto è stato innaffiato da abbondanti aiuti pubblici, economici e normativi. Secondo le stime del Center For Strategic & International Studies, fra 2009 e 2023 il settore auto cinese ha ricevuto sussidi per 230,9 miliardi di dollari. 
La transizione all’elettrico è stata poi imposta ai consumatori dal governo a suon di regolamenti draconiani: a Shanghai, Pechino e nelle altre metropoli cinesi bisogna aspettare mesi per ottenere una targa per veicoli a benzina e diesel. Quelle per una vettura elettrica arrivano immediatamente.

Il predominio domestico

Nel giro di pochi anni – per un’industria dai cicli lunghi come l’auto – la Cina si è così trasformata in una superpotenza dell’auto. Le case cinesi hanno anzitutto preso il controllo del Paese, privando i gruppi occidentali (tedeschi in testa) di una riserva importante di profitti. Quest’anno i gruppi cinesi conquisteranno il 67% delle vendite domestiche, prevede la società di consulenza Alixpartners, e nel 2030 supererà il 75%

La corsa all’export

Non contente di questo predominio in patria, Byd, Saic Motor e le altre hanno lanciato un’offensiva all’estero, soprattutto in Africa, Sudamerica ed Europa, dove nei primi cinque mesi dell’anno la loro quota di mercato è raddoppiata al 5,9%. Nel 2023 la Cina è già diventato il primo esportatore di auto al mondo, superando Giappone, Messico e Germania, e di anno in anno la forbice con gli inseguitori si sta allargando grazie ai successi dei suoi costruttori e alla ritirata dei gruppi occidentali dal mercato di massa: nel 2024 Byd ha sorpassato Tesla nelle vendite elettriche e a maggio del 2025 Saic (MG) ha superato Fiat nelle immatricolazioni in Europa.

La guerra dei prezzi

Eppure, dietro a questa avanzata apparentemente irrefrenabile si inizia a intravvedere qualche crepa nel modello di sviluppo dell’auto del Dragone. Da circa un anno e mezzo i costruttori cinesi si stanno facendo una spietata guerra sui prezzi e nessuno sembra disposto a sotterrare l’ascia. 
Da ultimo, a fine maggio, il gigante Byd ha annunciato un taglio fino al 35% dei prezzi di 22 modelli elettrici e ibridi plug-in, riducendo per esempio di 6.500 euro il listino della berlina Seal O7 e portando a 6.800 euro il costo dell’utilitaria a batteria Seagull. 

La mossa è stata presto imitata dai principali rivali che hanno subito risposto all’attacco del leader di mercato. Changan, costruttore di proprietà dello Stato, ha già annunciato un taglio del 15% ai listini, mentre Leapmotor, alleato di Stellantis, ha ridotto i prezzi dei suoi modelli di punta di un terzo.

Lo spettro Evergrande

La corsa al ribasso ha spaventato gli investitori, alimentato dubbi fra gli esperti e suscitato critiche all’interno della stessa industria. Il settore «non gode di buona salute», ha detto Wei Jianjun, presidente e proprietario di Great Wall Motors. «La Evergrande dell’auto esiste già, solo non è ancora esplosa», ha avvertito senza però nominare il costruttore in odore di crac. 

La preoccupazione serpeggia però anche nella filiera che serve e ha alimentato la corsa dell’auto elettrica cinese. «Un grande gruppo non può continuare ad abbassare i prezzi per conquistare quote di mercato spingendo fuori strada tutti i rivali più piccoli — ha lamentato Ni Jun, ceo di Catl, il maggior produttore di batterie al mondo —. Se si va avanti così senza un adeguato controllo delle autorità, nessun concorrente potrà sopravvivere».

La sovraccapacità produttiva

Degli oltre 100 costruttori cinesi, in effetti, soltanto una manciata è in utile, fra cui Byd, Geely e Chery. La stragrande maggioranza dei marchi è invece in profondo rosso, con scarse prospettive di passare al verde e l’ombra incombente di una crisi di liquidità. La crescita del mercato domestico sta infatti rallentando (+3% nel 2025), scoprendo il problema dell’enorme sovraccapacità produttiva che affligge l’auto globale, ma soprattutto cinese. 
Alixpartners stima, infatti, che le fabbriche del Dragone siano in grado di sfornare oltre 50 milioni di vetture all’anno, il doppio rispetto a quante il mercato domestico è in grado di assorbire e un numero sufficiente a coprire anche l’intera domanda europea. Al di sotto di un utilizzo del 70%, difficilmente un impianto può risultare profittevole e, secondo Gasgoo Automotive Research Institute, alcuni marchi come il premium elettrico Menghsi stanno sfruttando meno del 2% della loro capacità produttiva.

L’avvertimento delle autorità

Da qui gli sconti massicci, le vendite di «chilometri zero» e le altre promozioni introdotte dalle case: la guerra dei prezzi è, in realtà, una lotta per saturare le fabbriche. Che rischia di trasformarsi in una battaglia per la sopravvivenza. Diversi esperti prevedono perciò che nei prossimi anni l’industria dell’auto cinese andrà incontro a una feroce selezione, sempre che il governo cinesi lasci mano libera alle leggi del mercato. A metà maggio, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme ha segnalato i rischi insiti in una competizione sfrenata fra i costruttori. «Alcuni gruppi hanno adottato una strategia di prezzi ultra-bassi, arrivando anche a vendere sotto costo — ha detto il portavoce Li Chao —. Queste prassi superano i confini e le linee rosse della concorrenza, distorcono i meccanismi di mercato e ledono le regole di una leale competizione, richiedono quindi un intervento correttivo».

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30 giugno 2025

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