
Due distinte valanghe. E un bilancio pesantissimo.
In una prima spedizione in Nepal, due alpinisti italiani — Stefano Farronato, 45 anni, di Bassano, e Alessandro Caputo, 28, milanese – sono morti, dopo essere stati travolti da una slavina sul Panbari Himal, vetta di 6.887 metri. L’annuncio è stato dato nella mattinata di martedì 4 novembre dalla Farnesina.
Anche un terzo connazionale (le cui generalità non sono ancora note) è morto nella valle del Rolwaling dove un’altra valanga di grandi proporzioni ha spazzato via il campo base di una seconda spedizione, allestito lungo lo Yalung Ri (5.630 metri).
Qui un gruppo di rocciatori, composto da quindici persone, stava facendo tappa per scalare poi il Dolma Kan (6.334 metri). In questo caso le vittime sono sette — oltre all’italiano tre francesi, un canadese e due nepalesi — e altri quattro i dispersi, tutti sherpa del posto. Quattro i sopravvissuti, ricoverati in ospedale per fratture e ipotermia.
In entrambi i fatti le slavine — avvenute, la prima, a Est di Kathmandu, la capitale, e la seconda a Ovest — sono state provocate, tra l’altro, dal maltempo che in questi giorni sta martoriando il Nepal, spazzato dal ciclone «Montha» che, formatosi sul Golfo del Bengala, ha portato venti fortissimi e neve, complicando i soccorsi.
La valanga che ha travolto Farronato (un arboricoltore con un «curriculum» di tante spedizioni, dal Nepal al Canada e l’Alaska percorsi in bici e in canoa) e Caputo (maestro di sci a Sankt Moritz e tanti viaggi sulle Ande) si è abbattuta sul Panbari Himal venerdì.
A dare l’allarme ai soccorritori è stato il capospedizione Valter Perlino, 64enne veterinario di Pinerolo, nel Torinese, con decenni di esperienza tra l’Everest conquistato in solitaria e itinerari montani poco battuti. Per via di un infortunio al piede, l’uomo non si era aggregato ai due amici nell’arrampicata conclusiva sul Pambari, vetta che loro stessi, sulla pagina Instagram aperta per raccontare l’avventura, descrivono come «un quasi 7.000 lontano dalle classifiche e dai riflettori», motivo per «il quale ci ha conquistati, facendoci sognare». «Qui ogni metro guadagnato è frutto di forza, esperienza e rispetto per la montagna» è l’ultimo messaggio postato dai tre amici.
Recuperare i due italiani che fino a poche ore fa risultavano dispersi era parsa, da subito, una lotta contro il tempo: il meteo ostacolava i decolli, «gli elicotteri sono riusciti ad alzarsi in volo per la prima volta domenica e al momento le ricerche non hanno dato esito» diceva Manuel Munari, esperto pilota che collabora con le autorità nepalesi.
Anche salvare i dispersi della sciagura in cui è morto l’alpinista italiano — a scriverlo è la stampa del posto, ma la Farnesina non conferma — sarà arduo.
Oltre al ciclone «Montha» si è messa di traverso pure la burocrazia perché per far volare gli elicotteri in quell’area è servito ottenere un’autorizzazione amministrativa speciale che ha ritardato le ricerche.
«I soccorsi non sono stati effettuati in tempo, con conseguenti gravi perdite di vite umane — ha raccontato uno dei sopravvissuti ai cronisti del Kathmandu Post —. Abbiamo gridato e implorato aiuto, ma nessuno è riuscito a raggiungerci. Ci avevano detto che un elicottero sarebbe arrivato dopo quattro ore, ma non è stato così: a quel punto molti dei nostri amici se n’erano già andati».
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4 novembre 2025
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