
I cosiddetti «superager» sono anziani speciali, con capacità cognitive paragonabili a quelle di persone di 20 o 30 anni più giovani. Li studia da 25 anni la Northwestern University di Chicago (Usa) e un primo bilancio del lavoro è stato pubblicato su Alzheimer’s & Dementia, la rivista dell’Alzheimer’s Association. «I superager hanno particolari caratteristiche psicologiche, ma anche neurobiologiche, diverse rispetto a quelle dei coetanei con capacità cognitive nella media» scrivono gli autori, guidati da Tamar Gefen, docente di Psichiatria e scienze comportamentali al Mesulam Institute for Cognitive Neurology and Alzheimer’s Disease della Northwestern University. Gefen conduce ricerche per il «SuperAging Program» della Northwestern University. In 25 anni, 80 superanziani hanno donato il proprio tessuto cerebrale a Gefen e colleghi, permettendo di giungere a scoperte affascinanti.
Differenze nel cervello
«Superinvecchiamento» (superaging) è un termine coniato dal Centro per la ricerca sull’Alzheimer della Northwestern per definire persone di 80 anni o più che al test «Rey Auditory Verbal Learning» ricordano almeno 9/15 parole dopo mezzora, un punteggio che è nella media per le persone dai 56 ai 66 anni, ma considerevolmente superiore alla media per un 80enne (5/15). I ricercatori hanno scoperto che la struttura cerebrale dei superager ha delle peculiarità: volumi corticali (quantità di materia grigia presente nella corteccia cerebrale) simili a quelli degli adulti di 20-30 anni più giovani, a differenza dei coetanei che mostrano un restringimento correlato all’età; hanno poi una regione del cervello, chiamata corteccia cingolata, particolarmente spessa; presentano un minor numero di alterazioni cerebrali tipiche della malattia di Alzheimer; cellule più grandi e sane nella corteccia entorinale, un’area essenziale per la memoria e l’apprendimento (è una delle prime aree del cervello ad essere colpita dalla malattia di Alzheimer); una minore quantità di microglia attivata (sono le cellule immunitarie residenti nel cervello; la microglia si attiva solitamente se c’è una malattia, ma in alcuni casi diventa iperattiva e va in tilt causando infiammazione e possibili danni); una maggiore densità di particolari neuroni, chiamati «di von Economo».
Persone molto socievoli
«Per essere ammessa nel nostro programma, una persona deve avere più di 80 anni e sottoporsi a test cognitivi approfonditi – ha spiegato Gefen alla Cnn -. La memoria episodica, ovvero la capacità di ricordare eventi quotidiani e la propria storia personale passata, deve essere pari o superiore a quella di persone tra i 50 e i 60 anni. In questi anni abbiamo selezionato quasi duemila persone considerate superager, ma meno del 10% ha soddisfatto i nostri criteri. Una caratteristica fondamentale dei superanziani è che sembrano essere persone molto socievoli: apprezzano le relazioni interpersonali e sono spesso attivi nelle loro comunità. Sappiamo che l’isolamento è un fattore di rischio per lo sviluppo della demenza, quindi rimanere socialmente attivi è una caratteristica protettiva. Un altro tratto comune è il senso di autonomia, libertà e indipendenza: prendono decisioni e vivono la vita nel modo che desiderano. Peraltro non tutti seguono comportamenti salutari: abbiamo superager con malattie cardiache, diabete, che non sono fisicamente attivi, che non mangiano in modo particolarmente sano».
Meno grovigli di proteina tau
Gli studi di Gefen e colleghi hanno dimostrato che nell’ippocampo, il centro della memoria del cervello, i superager hanno tre volte meno grovigli di tau rispetto ai loro coetanei «normali». Le formazioni anomale delle proteine tau sono uno dei segni chiave della malattia di Alzheimer, in cui la tau colpisce anche i neuroni del sistema colinergico, responsabile del mantenimento della nostra attenzione nella vita quotidiana. Questo non accade nel cervello di un superager, in cui il sistema colinergico sembra essere particolarmente resistente. «I superanziani sono persone concentrate – chiarisce Gefen -. Sono in grado di prestare molta attenzione, partecipare e ascoltare attivamente. Altrimenti come potrebbero ricordare fino a 13 parole su 15 dopo 30 minuti?».
Corteccia cingolata
Un’altra scoperta ha riguardato un’area del cervello responsabile dell’attenzione, della motivazione e dell’impegno cognitivo, nota come corteccia cingolata, risultata più spessa nei superager, anche rispetto a quella delle persone tra i 50 e i 60 anni. «In uno studio preliminare, lo spessore corticale complessivo si è ridotto dell’1,06% nei superager rispetto al 2,24% nei coetanei neurotipici, una differenza statisticamente significativa – scrivono i ricercatori -. Sembra che l’assottigliamento corticale sia inevitabile, ma che sia probabilmente molto più lento nei superanziani. La scoperta più sorprendente è stata l’identificazione di una regione del cingolo anteriore in cui i superager presentano uno spessore corticale maggiore rispetto ai partecipanti neurotipici di età compresa tra 50 e 60 anni. Il cingolo anteriore è una componente primaria delle reti che mediano i processi relativi alla motivazione, alle emozioni e, soprattutto, ai comportamenti legati alla socialità, fattori in linea con le caratteristiche dei superager».
Il ruolo della microglia
«Stiamo studiando anche il sistema infiammatorio nel cervello dei superager, con l’obiettivo di comprendere come le cellule immunitarie cerebrali (microglia) rispondano alle malattie e si adattino allo stress – sottolinea Gefen -. L’infiammazione, una volta superata una certa soglia, è una componente importante della perdita cellulare nella malattia di Alzheimer e in quasi tutte le altre malattie neurodegenerative. Il cervello di un superanziano, invece, ha livelli di microglia pari a quelli delle persone tra i 30 e i 50 anni. Ciò potrebbe significare che nel cervello di un superager ci sono meno scorie, quindi le microglia non hanno bisogno di essere attive. Oppure potrebbe significare che le microglia rispondono in modo efficiente all’eliminazione tossine e, poiché sono più plastiche e adattabili, sono in grado di attivarsi, rispondere e poi quietarsi. Tutto questo è affascinante: è possibile che, a livello cellulare, il sistema immunitario del cervello di un superager sia più forte o più adattabile».
Geni, longevità e riserva cognitiva
Quanto conta la genetica? «Non si tratta solo di avere o meno un gene, ma di come l’ambiente interno ed esterno interagiscono per influenzare l’attivazione o l’espressione di un gene: alcuni possono essere più espressi, altri meno – conclude la ricercatrice -. C’è un elenco di geni candidati che stiamo iniziando a studiare con molta attenzione, geni che hanno anche un ruolo in aspetti quali la longevità, la senescenza, la riparazione cellulare e la riserva cognitiva (ovvero la capacità del cervello di resistere e compensare gli effetti di danni neurologici o dell’invecchiamento). Una domanda ovvia è se i fattori correlati all’invecchiamento medio possano essere rallentati e ritardati per promuovere il fenotipo del superanziano. Prove preliminari suggeriscono che geni come KLOTHO, BDNF, APOE, REST e TMEM106b potrebbero esercitare tali influenze, ma la loro rilevanza per il superinvecchiamento deve ancora essere studiata. In futuro si potrebbe giungere a interventi che migliorino la resistenza e la resilienza ai cambiamenti involutivi considerati normali nell’invecchiamento cerebrale medio».
Fenotipo clinico-biologico
In conclusione i superanziani hanno una buona morfologia cerebrale, tendono a essere socievoli, appaiono resistenti alla degenerazione neurofibrillare (aggregati anomali di proteine, in particolare della proteina tau) e resilienti alle sue conseguenze, hanno un sistema colinergico più robusto, presentano più neuroni di von Economo e una minore attività microgliale infiammatoria. «Queste caratteristiche stanno iniziando a fondersi in un fenotipo clinico-biologico che può essere studiato in modo approfondito, con implicazioni significative per chiarire, al contrario, le pressioni regressive sul cervello e sulla memoria durante quello che altrimenti sarebbe considerato un invecchiamento normale – si legge nella conclusione del lavoro -. Sebbene rimangano ancora molti interrogativi da affrontare, i risultati finora ottenuti dimostrano che ricordare 9 parole su un elenco di 15 all’età di 80 anni funge da indicatore di una specifica firma neurobiologica correlata alla struttura e alla funzione cerebrale. Anche se si scoprisse che il principale fattore che promuove il superinvecchiamento è innato, l’identificazione di fattori genetici associati potrebbe portare alla scoperta di bersagli proteici farmacologicamente modificabili che promuovono la longevità cognitiva e la protezione dall’Alzheimer».
17 agosto 2025
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