
Non è più tempo di pensare all’inconscio come lo pensavano poeti e artisti del Romanticismo, ma neppure come quel «calderone ribollente di impulsi», magari perversi, di cui parlava Sigmund Freud. 
La ricerca scientifica sull’inconscio, o meglio, sui processi inconsci, come si preferisce dire, cancella anche l’idea romanzesca del tenebroso Mr.Hyde, opposto al razionale dottor Jekill, che dovremmo reprimere. Ed è da cancellare anche l’immagine di un inconscio fonte di saggezza per grandi pensatori o quella di un misterioso tramite con l’infinito. 
L’inconscio ci serve
«La concezione scientifica contemporanea dell’inconscio è più semplice ma più interessante», dice Joel Weinberger, uno dei ricercatori più noti sull’argomento, coautore con con Valentina Stoycheva, del libro «The Unconscious: Theory, Research, and Clinical Implications» (Guilford, 2020). Sul numero 3 del 2025 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane è stato appena pubblicato un suo articolo dedicato proprio alla ricerca sull’inconscio. «I processi inconsci sono parte integrante del funzionamento quotidiano. Non riusciremmo a sopravvivere senza, perché sono indispensabili per il regolare funzionamento del cervello e della mente. Si sono evoluti per funzionare al meglio grazie a quella che è chiamata “elaborazione distribuita parallela”, il fatto che la mente deve per forza fare molte cose allo stesso tempo, operando in centesimi di secondo. Di conseguenza, non potrebbe avere consapevolezza istantanea di tutto ciò che avviene al suo interno. La coscienza non può rappresentarsi tutto insieme, ma solo una cosa per volta, quindi è indispensabile l’esistenza di processi inconsci. Le scienze cognitive, la psicologia sociale e la psicologia clinica li stanno studiando in modo sistematico e ne stanno svelando i segreti».
Le nuove teorie
Sebbene alle ricerche sul classico inconscio freudiano si siano oggi aggiunte molte ricerche sull’inconscio cognitivo, non vuol dire che non esistano più psicoanalisti che lo considerano ancora uno strumento del loro bagaglio culturale e clinico. 
Tanto che, secondo molti osservatori, oggi esistono modalità abbastanza diverse di praticare la terapia psicoanalitica o le diverse terapie psicologiche da essa derivate. Anche all’interno delle società scientifiche di settore convivono approcci e modalità operative differenziate. 
I due inconsci
Per quanto riguarda l’ambito della ricerca sui processi inconsci della mente, molto è stato realizzato negli ultimi decenni, e nuovi concetti sono emersi. «La mente umana, per poter funzionare, ha bisogno che una gran parte dei meccanismi che la muovono restino al di fuori della coscienza», spiega Paolo Migone, condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane. 
«Quest’area, che viene chiamata inconscio cognitivo, contiene informazioni apprese dall’esperienza che non possiamo ricordare perché non sono mai state consce, e neppure possiamo dimenticare dato che operano in maniera automatica e sono di fondamentale importanza per il funzionamento quotidiano. Costituiscono un tipo di inconscio che viene chiamato tacito, implicito, o procedurale». 
«Per spiegare come funziona invece l’inconscio psicoanalitico, si può dire che un’idea o un ricordo possono passare dallo stato conscio a quello inconscio e viceversa, ed è appunto per questo che viene chiamato anche inconscio dinamico. Ad esempio, un ricordo doloroso della propria vita può essere rimosso e diventare inconscio, e questo è un modo per difendersi, per non soffrire. La rimozione è un meccanismo di difesa che era stato postulato da Freud, assieme ad altri, quali la proiezione e la negazione. Come tutti i meccanismi di difesa, però, la rimozione non si trova sotto il controllo della volontà, ma funziona inconsapevolmente. Un contenuto rimosso può in seguito ritornare alla coscienza dopo un’esperienza positiva o quando la persona si sente in una condizione di sicurezza che fa allentare le difese e arriva così a potersi permettere di affrontare temi dolorosi».
La psicoterapia
«È importante sottolineare che questo è esattamente uno dei modi di funzionare della psicoterapia: dato che per il paziente essa rappresenta una condizione di sicurezza psicologica, diventa il luogo dove è possibile trovare il coraggio, nel giusto momento, per provare a far riemergere e a rielaborare ricordi del passato, per comprenderli meglio e dare loro nuovi significati. Ciò può avvenire spontaneamente grazie all’atmosfera della terapia, anche senza che il terapeuta cerchi di interpretare in maniera diretta e specifica i contenuti rimossi nella parte inconscia della mente».
La ricerca e la pratica
Ma fino a che punto le ricerche realizzate negli ultimi anni sui processi inconsci stanno modificando il modo di operare di psicoterapeuti e psicoanalisti? «È difficile da dire», afferma Joel Weinberger. «Spero che le nuove concezioni stiano entrando nella pratica clinica, quindi che gli psicoanalisti siano più motivati a prendere in esame le ricerche sui processi inconsci e a riflettere su come potrebbero applicarle nel loro lavoro. E nello stesso tempo spero che i ricercatori riflettano maggiormente sulle implicazioni cliniche dei loro studi. Ricercatori e psicoanalisti dovrebbero essere aperti alle rispettive esperienze e scoperte, dal momento che hanno molto da imparare gli uni dagli altri. È anche per questo che ho scritto il mio articolo su Psicoterapia e Scienze Umane, nella convinzione che possa facilitare una maggiore comunicazione».
«Vorrei però essere più specifico su come la ricerca può influenzare il lavoro di uno psicoanalista. Invece di dare per scontato che un ricordo venga sempre dimenticato a causa di una difesa, lo psicoanalista potrebbe provare a considerarlo un ricordo implicito, ossia che è stato semplicemente dimenticato ma che ha continuato in qualche modo a influenzare pensieri ed emozioni. In altre parole, non bisogna dare per scontato che il paziente si stia difendendo o metta in atto una resistenza. Può succedere, ma non è detto che sia sempre così. Lo stesso vale per l’apprendimento implicito, perché le persone imparano a pensare e a comportarsi in base alle loro esperienze, ma senza rendersene conto. E spesso accade che l’ambiente relazionale in cui vivono si modifichi, così che ciò che avevano imparato non risulta più adeguato e i loro comportamenti diventano problematici».
«Questo fenomeno in psicoanalisi è chiamato transfert. Nella mia pratica clinica spesso dico ai pazienti, a proposito di eventi passati, che probabilmente le loro capacità di adattamento erano le migliori che potevano avere in un dato momento della loro vita, ma che dovrebbero imparare a valutare come la situazione attorno a loro si sia modificata e quindi richieda lo sviluppo di nuove abilità. Esiste poi anche un fenomeno chiamato automaticità: quando un comportamento, appreso consciamente o inconsciamente, viene praticato più volte, assume una vita propria e, qualunque cosa l’abbia causato in origine, diventa come un’abitudine, per cui il cambiamento richiederà tempo e impegno. Però vi è un aspetto positivo dal punto di vista terapeutico: come sanno bene i terapeuti cognitivo-comportamentali, se una migliore comprensione o un nuovo modo di comportarsi vengono praticati a sufficienza, anche questo nuovo processo diventerà automatico e avrà effetti positivi».
25 ottobre 2025
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