
Evocare il 1914, come ha fatto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, significa riferirsi al meccanismo fatale che mise in moto, nell’estate di quell’anno, la Prima guerra mondiale.
L’Europa veniva allora da un periodo di pace piuttosto lungo, poiché l’ultimo grande conflitto era stato quello franco-prussiano del 1870-71, anche se, soprattutto nei Balcani, non erano mancati, anche molto di recente, scontri di portata minore.
E fu proprio nei Balcani che il continente prese fuoco, anche se a determinare l’incendio generale furono antagonismi sedimentati nel tempo un po’ dovunque. Si pensi al desiderio della Francia di recuperare le province dell’Alsazia e della Lorena, annesse dalla Germania appunto nel 1871, oppure alla rivalità sul piano del dominio navale tra la stessa Germania, potenza emergente, e la Gran Bretagna, da secoli padrona dei mari. Si aggiunga la contesa tra l’imperialismo austro-tedesco e quello russo per l’egemonia nell’Europa centro-settentrionale.
Si era creata negli anni una forte tensione tra due blocchi: da una parte la Triplice Alleanza, comprendente Germania, Austria-Ungheria e Italia; dall’altra la cosiddetta Intesa, che legava Russia, Francia e Regno Unito. La scintilla, com’è noto, fu l’omicidio dell’erede al trono degli Asburgo, arciduca Francesco Ferdinando, ucciso il 28 giugno 1914 con la moglie da un nazionalista serbo a Sarajevo, capitale di quella Bosnia Erzegovina che l’Austria-Ungheria amministrava sin dal 1878 e aveva annesso formalmente nel 1908.
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Il governo di Vienna ritenne responsabile del delitto la Serbia, che in effetti alimentava l’irredentismo nei territori asburgici, e le inviò un umiliante ultimatum il 23 luglio. L’accettazione solo parziale delle condizioni poste indusse l’Austria-Ungheria a dichiarare guerra a Belgrado il 28 luglio, con l’avallo della Germania. Solo che la Serbia, in quanto Paese slavo-ortodosso, poteva contare sull’amicizia della Russia, tanto che già l’indomani lo zar Nicola II ordinò una vasta mobilitazione delle forze armate.
Quella mossa era molto temuta dai tedeschi, per via della strapotenza demografica della Russia, che poteva rovesciare in un eventuale conflitto immense masse umane. Berlino decise quindi di stringere i tempi, avviando a sua volta la mobilitazione e indirizzando un doppio ultimatum a San Pietroburgo (capitale dello zar) e a Parigi. Mobilitò allora il suo esercito anche la Francia. E la Germania, per coglierla di sorpresa, invase il Belgio neutrale. A quel punto, il 4 agosto 1914, anche Londra scese in campo contro gli austro-tedeschi, detti nel loro complesso Imperi centrali.
Nel giro di una settimana da una disputa tra Austria-Ungheria e Serbia si era slittati verso una conflagrazione gigantesca, destinata a sconvolgere il mondo e a determinare il crollo di quattro imperi, in quanto poi la Turchia si schierò con Vienna e Berlino. Al disastro rimase temporaneamente estranea l’Italia, poiché non era stata consultata dagli altri contraenti della Triplice Alleanza nella fase convulsa che aveva portato allo scontro. Saremmo entrati nel conflitto diversi mesi dopo, nel maggio 1915, ma dalla parte dell’Intesa.
La discussione circa la responsabilità preminente per lo scoppio della guerra dura da oltre un secolo e non accenna ad esaurirsi. Al termine delle ostilità la colpa fu attribuita dai vincitori alla Germania sconfitta, che in effetti fu il motore più attivo sul piano politico militare. Ma anche la Russia, con la sua mobilitazione, contribuì a gettare benzina sul fuoco.
Le parole di Mattarella a proposito di un «crinale» pericoloso vogliono mettere in guardia circa il ripetersi di una simile deriva.
Nel 2012 lo storico di Cambridge Christopher Clark ha intitolato I sonnambuli un libro su quelle vicende, tradotto da Laterza nel 2013. La sua tesi è che i governanti europei siano scivolati verso la guerra spinti da una cieca logica di potenza, senza rendersi conto del baratro in cui stavano gettando i propri Paesi, appunto come sonnambuli che camminano ma non sono coscienti della direzione in cui si muovono. Tuttavia c’è chi ritiene che un’interpretazione del genere sia troppo assolutoria nei riguardi di classi dirigenti che da tempo conducevano politiche di riarmo e non erano poi così inconsapevoli di ciò che stavano facendo.
Di certo il 1914 resta l’esempio di come si possa finire nell’abisso dello scontro bellico sulla scorta di tensioni geopolitiche accumulate nel tempo, che la diplomazia non è riuscita ad allentare, anche senza che ci sia una precisa e deliberata volontà aggressiva di una delle parti in causa.
Diverso è il caso del 1939, anno in cui esplose la Seconda guerra mondiale. Non a caso quel richiamo è risuonato da parte polacca, in quanto allora Varsavia pagò la sua determinazione a resistere di fronte all’espansionismo oltranzista di Adolf Hitler, deciso a conquistare per il suo Terzo Reich un ampio «spazio vitale», anche a costo di sfidare apertamente Francia e Gran Bretagna.
Nel comportamento attuale di Vladimir Putin, tendente a ricostituire la potenza imperiale russo-sovietica, la Polonia intravede un’analogia sinistra. Tanto più che, vale la pena di ricordarlo, la Germania nazista nel 1939 si premunì dal rischio di dover lottare su due fronti, come era accaduto nel 1914, attraverso un cinico accordo con l’Urss di Iosif Stalin che condusse alla spartizione dell’Europa orientale fra le due potenze totalitarie.
10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 19:11)
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