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C’è una New York terrorizzata dall’ascesa di Mamdani (e Trump ha pronta la mossa per «distruggere» i democratici)

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NEW YORK – Come nei secoli scorsi, capita che i destini della politica si possano intrecciare a un matrimonio. Magari più intimo e discreto rispetto a quello rumoroso e pubblico di Venezia, ma certamente più concreto in termini di tessiture politiche dietro le quinte. 

È lì che giorni fa incontro Andrew Cuomo, reduce da una bruciante sconfitta. Ha appena finito di parlare sottovoce con Nancy Pelosi, anche lei tra gli invitati che contano, prodiga di consigli e ancora centrale negli equilibri politici dei democratici. Cuomo mi spiega che correrà da indipendente a novembre per la poltrona di sindaco di New York con un unico obiettivo: dimostrare, anche a livello nazionale, che il sistema delle primarie «chiuse» porta a risultati «fuorvianti» rispetto al vero sentimento più centrista del partito democratico, anche in una città progressista come New York. «Dobbiamo neutralizzare il danno che il partito avrebbe a livello nazionale se fosse eletto un candidato come Mamdami» mi dice Cuomo. 

Il sentimento è diffuso, tra chi si vede per la prima volta dai risultati della settimana scorsa o nel dibattito politico nazionale, con un pensiero comune dominante: se la vittoria del «socialista» Zohran Mamdami alle primarie democratiche per la poltrona di sindaco di New York sarà confermata alle elezioni di novembre, le conseguenze saranno un disastro, per la città e per il futuro del partito democratico già a breve, al Midterm del 26, un assist incredibile per Donald Trump che sta gia’ sfruttando a livello nazionale il vero volto «comunista» del partito democratico. Il problema per Cuomo a novembre, in corsa sulla carta come indipendente nella lista «Fight and Deliver», sara’ proprio il Presidente Trump che – mi dicono i bene informati – darà al momento giusto l’appoggio all’altro candidato indipendente, l’attuale sindaco Eric Adams, salvato proprio dalla Casa Bianca da guai giudiziari e improvvisamente rivitalizzato dalla vittoria di Mamdami e dalla sconfitta di Cuomo alle primarie. Proprio ieri Adams, elegante e circondato dalla sua amministrazione e della municipalità, ha approvato e firmato in diretta televisiva un bilancio annuale per la città da 116 miliardi di dollari. Dalla sua ha risultati concreti e la forza della leva del potere. «Non ho dubbi, voterò per Adams – mi dice un importante ideologo repubblicano – è solido, ha esperienza e rappresenta la continuità». 

E il candidato repubblicano, Curtis Silwa? È il fondatore dei Guardian Angels, un gruppo di cittadini impegnati in prima linea contro il crimine in città, ha credenziali conservatrici di destra, ma non è considerato un candidato credibile neppure da Donald Trump. 

Per il Presidente, nel contesto dibattito politico nazionale, il suo maggiore successo sarebbe quello di portare alla vittoria Adams, un nero, ex democratico, marginalizzato dal partito, in una roccaforte democratica come New York

Per questo la corsa per sindaco di New York, la più controversa, imprevedibile e confusa nella storia della città diventa chiave per il contesto nazionale. Con un ruolo centrale di Mamdami, attraente, sguardo intenso, certamente simpatico, fortissima presa sui giovani, ottimo oratore, musulmano nato a Kampala in Uganda, parla soprattutto a chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Mamdami, madre nata a Rourkela, in India padre ugandese nato anche lui in India, a Mumbay, ha costruito la sua base politica nella sinistra militante di Alexandria Ocasio-Cortez, ha mobilitato il mondo islamico, ha detto che arresterà Nethanyahu se dovesse venire in città (anche se l’America non ha aderisce alla Corte dell’Aia), ha promesso di aumentare le tasse per «coloro più bianchi e più ricchi in città», di rendere gratuito il trasporto pubblico, di lanciare supermercati pubblici a basso costo, di allentare il rigore della polizia negli arresti di coloro colpevoli di piccoli crimini, di aumentare il numero di affitti bloccati e la disponibilità di case a basso costo per i più giovani, ha invocato una intifada globale ed è tra i fondatori, anni fa, pre attacco di Hamas a Israele, del movimento universitario pro Palestina, esploso con dimostrazioni antisemite nei campus americani dopo l’attacco del 7 ottobre e dopo la violenta reazione israeliana. Vuole anche aumentare le tasse per le aziende nello stato con una delle aliquote più alte nella federazione. Insomma per la New York capitale della finanza globale e della Silicon Alley, ma anche per il newyorchese medio, una vittoria Mamdami sarebbe un disastro. Anche perché, dietro l’attrattiva del candidato, brillante, giovane e pieno di energia si è capito da interviste post voto che molti dei suoi giovani sostenitori non conoscevano la sua piattaforma politica. 

Aggiungiamo che Mamdami ha 33 anni, è deputato al parlamento dello stato con zero esperienza di gestione esecutiva. Con lui la ricetta per un nuova fuga dell’establishment dalla città è perfetta. Contro di lui si va formando a una settimana dalle primarie, un’alleanza improbabile che va da certe ali progressiste più tradizionali del partito a repubblicani centristi. 

Ed ecco la resistenza in preparazione di novembre: possibile che prevalga una partita «indipendente» fra Adams e Cuomo? No, anzi, i due potrebbero elidersi a vicenda puntando sulla stessa base elettorale e spaccando quel 60% quasi certamente anti Mamdami. Alle elezioni di novembre vincerà chi avrà il maggior numero di voti. Se Mamdami avesse un 31% contro un 30% di Cuomo e un 29% di Adams, vincerebbe lui, o potrebbe anche vincere Silwa, il candidato repubblicano, un rischio che la città non può correre. Per cui, nonostante la sua visione nazionale certamente giusta, ci sono fortissime pressioni su Cuomo perché si ritiri

Due importanti sindacati che l’avevano appoggiato l’hanno mollato per Mamdami. E il partito democratico? Se Cuomo abbandonerà, potrebbe davvero accettare Adams e la vittoria di un ex democratico appoggiato da Trump? «Il bene della città viene prima di quello del partito e Adams ha imparato a governare – mi dice un democratico centrista – Mamdami mai, la sua è stata una vittoria manipolata dagli attivisti estremi del partito». 

Al matrimonio, alle cene, in città, insomma, si parla solo delle elezioni per il ruolo di sindaco di New York. E in quella straordinaria combinazione di eventi che può capitare solo in questa metropoli, c’è chi mi ricorda in prima persona l’arrivo a Columbia University di Mahmood Mamdami, il padre di Zohran, un professore nero di origine ugandese che insegnava a Città del Capo, in Sudafrica, un teorico anticolonialista e antisionista che equipara la presenza Israeliana in Palestina a una continuazione del colonialismo. La madre Mira Nair è una regista indiana di successo internazionale, candidata all’Oscar per un suo film, «Salaam Bombay», nel 1988 e per numerosi documentari. Anche lei schierata: nel 2013 ben prima della crisi attuale, rifiutò l’invito a un festival israeliano come protesta politica. Appartengono insomma a quella casta di élite alternativa che, secondo Trump, ha avuto le porte aperte da questo paese per poi occupare le università americane promulgando Cancel Culture, Woke, MeToo at alia, di cui il Presidente vuole liberarsi. 

Prepariamoci dunque a una lunga, difficile ansiosa, avvincente maratona newyorchese, densa di colpi di scena e polarizzazione su ogni fronte e sui temi più caldi del giorno. Con la triste conferma che il consenso si ottiene con un’unica carta: quella degli estremi.

1 luglio 2025 ( modifica il 1 luglio 2025 | 16:04)

1 luglio 2025 ( modifica il 1 luglio 2025 | 16:04)

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