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Bruce Springsteen attacca Trump davanti ai 58 mila di San Siro: «Facciamo sentire la nostra voce a un governo corrotto»

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Bruce Springsteen in camicia e cravatta (e gilet) non si era mai visto. Almeno nelle sette volte che aveva suonato a San Siro, a partire da quell’epico show del 1985. Sarà che in questo tour il rocker sente l’occasione. Non tanto quella dell’ultimo tour, sono solo chiacchiere senza fondamento, quanto quella dell’essere il Boss, uno di quelli che quando i tempi lo richiedono non si tira indietro per calcolo. Che non abbia mai avuto buoni rapporti con i presidenti americani repubblicani non è un mistero. Da quel Reagan che provò ad assoldarlo non capendo che «Born in the USA» raccontava un’America diversa da quella edonista degli anni 80, ai guerrafondai Bush, padre e figlio. Da quando a fine maggio sono partite queste date europee a Manchester, il bersaglio è Donald Trump.
C’è ancora luce piena, non sono ancora le 20, e parte la scarica di «No Surrender», un non mollare che è già un manifesto. Little Steven, convalescente per un’operazione, alla fine non ha mollato: anche se si deve trattenere e non è sempre lì spalla a spalla con l’amico di sempre a duettare non ha voluto far mancare il suo ghigno. Ancora un paio di pezzi e Bruce si rivolge al pubblico, con i sottotitoli in italiano perché nessuno dica di non aver capito. Altro che MAGA, altro che Grande America, lui vuole portare tutti nella «terra della speranza e dei sogni», come da titolo del tour e dell’omonima canzone. Viviamo «tempi pericolosi» perché «la mia terra, l’America che amo, quella di cui ho scritto, quella che è stata faro di speranza e libertà per 250 anni, è nelle mani di un governo corrotto, incompetente e infido». Parte il boato dei 58 mila presenti (si replica giovedì), quelli a cui chiede di «far sentire la propria voce contro l’autoritarismo». E via «one two three four» e la E Street band affonda di nuovo il colpo. «Rainmaker», la prima idea gli venne ai tempi di Bush figlio, è dedicata al «caro leader americano». E il testo, sottotitolato come per altre canzoni le cui parole fanno il racconto, non è una carezza a Trump. Che non ha mancato di rispondere con toni da rissa al bar nei giorni scorsi.
Non è un comizio. C’è sempre il rock and roll a fare da guida. Bruce è in forma, un sollievo dopo che due anni fa a Ferrara era sembrato distaccato. Gli assoli di Nils Lofgren (quello di «Because the Night» è infuocato), la macchina del tempo di Max Weinberg e Garry Tallent, i ricami delle tastiere di Roy Bittan, il sax di Jake Clemons, gli accenti gospel dei cori, costruiscono un suono senza finzione. Non c’è bisogno di visual, di trovate, laser o effetti wow. «The River» sarebbe raccolta, ma è canto collettivo. Ci sono ancora un paio di cose da dire. A giudicare dall’ovazione non ci sono dubbi su chi sia oggi il «clown criminale» di «House of Thousand Guitars». Ma Springsteen tocca sul vivo tutti: «È nell’unione delle persone attorno a dei valori che sta la differenza fra democrazia e autoritarimo». Nessuno pensi di chiamarsi fuori. L’elenco delle cose che «stanno alterando la natura della democrazia» fa paura: le persecuzioni alla «libertà di parola e al dissenso» e alle «università che non si piegano» alla nuova ideologia, «i ricchi che abbandonano i bambini più poveri del mondo alla malattia e alla morte», la retromarcia innescata «nella storia dei diritti civili», le alleanze con «i dittatori», le «deportazioni» degli immigrati.
Insomma, è il libro nero del trumpismo, ma «sopravviveremo a questo momento». Ce lo insegna la scaletta. «I’m on Fire» è dolcezza ma ci vorrebbe la palla demolitrice di «Wrecking ball» e poi la resurrezione con «The Rising».
La rabbia non può inquinare tutto e «Badlands» scarica a terra tutta l’energia negativa. Nei bis, si accendono le luci sulla platea, è impossibile scegliere ma proviamo con «Born in the Usa», «Born to Run» e «Dancing in the Dark». L’epilogo sono due cover «Twist and Shout» per tirare fuori l’ultima goccia di energia e «Chimes of Freedom» di Dylan perché se sono il Boss vi faccio anche pensare.

30 giugno 2025 ( modifica il 30 giugno 2025 | 22:53)

30 giugno 2025 ( modifica il 30 giugno 2025 | 22:53)

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