
«Il mercato obbligazionario americano ha un nuovo competitor: la Germania. È l’unico tra i Paesi sviluppati a non aver sperimentato una politica fiscale davvero espansiva, ha un rating elevato e spazio per indebitarsi in modo importante. Gli investitori globali stanno guardando ai titoli tedeschi. E bisogna chiedersi se i grandi compratori, come Cina e Giappone, continueranno a mantenere l’attuale livello di acquisti nel mercato obbligazionario americano». Per Stephen Dover, head of the Franklin Templeton Institute e chief market strategist dell’asset manager globale — con 1.530 miliardi di dollari di masse in gestione (dato al 31 marzo) — dove ha vissuto gli ultimi 30 anni della sua carriera, «questa dinamica della domanda può influenzare sia il dollaro che il mercato dei bond». Dover è reduce da due recenti incontri con tutti i team di gestione e ha appena raccolto, attraverso un sondaggio, le idee di portfolio manager e analisti. «L’opinione condivisa è che il biglietto verde si indebolirà ulteriormente nel resto dell’anno e nel prossimo futuro. Non significa che cesserà di fungere da valuta di riserva. Ma che è estremamente sopravvalutato rispetto alla sua storia», precisa lo strategist.
Previsioni sugli Usa
Come se non bastasse, ricorda Dover, la struttura del debito statunitense è sbilanciata sulla parte relativamente breve. «Questo lo rende più vulnerabile in caso di tassi d’interesse più alti o di una riduzione delle entrate. La scommessa dell’Amministrazione americana è di risolvere i gravi problemi legati al disavanzo fiscale attraverso la crescita. La verità è che gli Stati Uniti, semplicemente, non possono permettersi una recessione in questo momento». Qual è la probabilità che si verifichi questo scenario? «Mettendo insieme le opinioni raccolte nel sondaggio, per il 2025 ci attendiamo una crescita del Pil nell’ordine dell’1,5%. Segnalo che nell’ultima rilevazione è aumentata molto la percentuale dei gestori che si attendono una recessione, da un valore marginale al 30%. La domanda cruciale è: gli Stati Uniti riusciranno a crescere a un passo più veloce senza aumentare troppo la spesa? Ricordo che il Big Beautiful Bill (la proposta di riforma fiscale che Trump vorrebbe fosse approvata anche dal Senato prima del 4 luglio, ndr) non è nemmeno lontanamente paragonabile, quanto a intensità dello stimolo, alla legge del 2017».
Tra l’effetto dei dazi e la corsa della tecnologia
Le incognite sulla crescita hanno a che fare con una pluralità di fattori: «non si conosce l’esito effettivo dei negoziati sui dazi: ho trascorso un po’ di tempo cercando di analizzare l’accordo annunciato tra Cina e Stati Uniti e in realtà non dice nulla di concreto. Di certo non conosciamo quale sarà l’effetto aggregato delle tariffe commerciali, ma sappiamo che danneggerà anche le imprese americane», avverte Dover. Visto che lo spazio di manovra per nuovi stimoli fiscali si è ridotto, un aiuto potrebbe arrivare dalla tecnologia: «è da vedere se l’implementazione dell’intelligenza artificiale nelle aziende americane produrrà nei prossimi 3-5 anni un aumento della produttività consistente, sia in termini assoluti, che in relazione ad altri Paesi. L’incertezza su tutti questi aspetti è la variabile più complicata che i mercati si trovano a fronteggiare oggi», chiosa lo strategist. Come orientare i portafogli, in attesa che i nodi vengano sciolti? «Per definizione non possiamo prevedere l’ignoto. Ma sappiamo come attuare una corretta gestione dei rischi. La nostra indicazione è di essere “estremamente neutrali”».
Come ribilanciare il portafoglio
Una definizione un po’ bizzarra, che il manager chiarisce così: «il peso che gli Stati Uniti hanno sulle azioni globali è passato in 20 anni dal 40 al 60% e oltre. Trovo molto difficile che possa arrivare all’80%. Quindi bisogna allargare il perimetro dell’investimento, in tutte le direzioni: visto che gli investitori globali tendono a essere sovraccarichi di azioni statunitensi, soprattutto di titoli a grande capitalizzazione, mentre altri mercati, come Europa, Asia e mercati emergenti sono molto poco rappresentati nei portafogli, per mitigare i rischi sarà necessario avere un posizionamento più equilibrato. Sia chiaro: non significa che gli Stati Uniti non faranno bene, ma che, in termini relativi, potrebbe registrare performance inferiori. Lo stesso discorso riguarda l’esposizione all’America. Bisognerebbe concentrarsi sui titoli di qualità in tutte le capitalizzazioni di mercato, oltre le magnifiche 7 (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Meta, Nvidia, Tesla ndr)». La rotazione dei portafogli verso le aree che sono rimaste indietro, sul piano della performance, dovrà avere però focus ben precisi. Ecco un esempio: «Abbiamo una visione generalmente positiva sulle prospettive dei mercati emergenti. Ma mentre l’India, secondo noi, rappresenta un’ottima opportunità di lungo termine, specialmente sulla componente azionaria — e vediamo bene il Brasile perché meno vulnerabile, nei prossimi anni, ai dazi — la Cina appare a buon mercato per dei validi motivi: il rischio politico è importante. Per vedere una crescita sostenibile del listino occorre prenda forma l’espansione degli utili che fin qui è venuta a mancare».
27 giugno 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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