
«L’ultimo che lascia la città, spenga la luce», si diceva in una Detroit in declino, già capitale statunitense dell’auto in crisi di futuro. A Torino, già capitale italiana dell’auto e aspirante capitale dell’aerospazio (e della cucina, e del tennis, e del cinema, e dell’egittologia…) in crisi di futuro, non si è atteso che l’ultimo lasciasse la città per spegnere la luce. D’un tratto è sceso il buio. Interi quartieri sono rimasti senza corrente elettrica, in alcuni casi dalle 14 a notte fonda tra domenica e lunedì. E così, disagi si sono registrati da Vanchiglia a Barriera di Milano, passando per Mirafiori, Borgo Vittoria, San Secondo fino al centro, quest’ultimo rimasto al buio fino alla fine dell’energetico (e certamente energivoro) concerto che ha allietato la notte torinese.
E così, mentre Ghali, Baby K, The Kolors, Capo Plaza e Willie Peyote cantavano, i cittadini salmodiavano irripetibili inni dedicati a Iren. Già, Iren, al Corriere ha fatto sapere che il blackout non dipendeva dal concerto, «perché questi eventi hanno generatori propri». E magari qualcuno, visti il caldo e l’aria che tira, potrebbe pure prenderlo come un suggerimento e acquistare così un proprio generatore personale. Fatto sta che un blackout ha spento la città.
Certo, sono cose che possono capitare. Lo scorso novembre, ad esempio, una prolungata siccità ha talmente ridotto l’acqua della diga di Kariba, che Zambia e Zimbabwe sono rimasti al buio. E non parliamo dei danni collaterali legati alla drastica riduzione subita dall’attività di pesca nella diga. Nello stesso modo, a Torino l’assenza di corrente ha costretto i commercianti dei quartieri interessati ad abbassare le serrande. Ha lasciato senza aria condizionata e con frigoriferi e congelatori non alimentati per più di mezza giornata chi ha trascorso la domenica in città. Durante l’intera giornata, chi utilizza i silos sotterranei per il parcheggio delle auto, è rimasto con i mezzi bloccati senza la possibilità di uscire o di rientrare. L’Ansa informa che i circa sessanta utenti del silos in via Porta Palatina, nel cuore antico della città, stanno pensando a una class action.
E intanto, ad alimentare il cortocircuito, interviene la politica. Fratelli d’Italia fulmina il sindaco Stefano Lo Russo chiedendogli di spiegare in Consiglio Comunale cosa mai sia successo. Poi dà la scossa ai dirigenti di Iren chiedendogli di porgere le proprie scuse per i disservizi. E infine ricorda che Iren è un’azienda gestita dai Comuni di Torino, Genova e Parma e che «nei mesi scorsi il sindaco volle fare crescere la partecipazione del Comune nella azienda che produce utili importanti per le casse comunali, con dirigenti molto ben pagati».
In un clima da Zero Day, la miniserie statunitense targata Netflix che racconta l’America senza corrente elettrica, si consumerà anche questo conflitto politico. E chissà a chi toccherà la parte di Robert De Niro? Eppure, paradossalmente, il buio evocato dall’assenza di luce elettrica potrebbe farci vedere tutto più chiaramente. Preso sul serio, questo blackout potrebbe diventare l’occasione per rompere una certa ipocrisia legata alla fantasmagorica rappresentazione di Torino per far emergere certe debolezze di sistema, di competenze, di strategie. Del resto, rifugiarsi dietro la scusa della rete che va in tilt per gli elevati consumi di energia stagionali, significa solo ammettere che è inadeguata ai bisogni: siano pure paragonabili ai consumi di Singapore, qualcuno avrebbe dovuto prevederlo. E non lo ha fatto.
Nel parlare di Napoli, il saggista Pino Aprile una volta ha scritto: «Roma fu, Milano vuole essere, Napoli è». Oggi potremmo aggiungere: «E Torino? Torino cerca l’interruttore della luce».
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16 giugno 2025
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