Il termine austerità non ha fatto ancora la sua comparsa nel dibattito politico. E del resto il governo e la maggioranza sono molto attenti a mettere in circolo un’espressione che potrebbe irritare gli elettori e che potrebbe ricordare i tempi in cui a tuonare proprio contro l’austerità era il centro-destra.
L’obiettivo è quello di approvare alla fine una legge di bilancio cosiddetta «neutra» ovvero capace di coerenze dal punto di vista dei conti, con l’aggiunta di qualche provvedimento-bandiera rivolto a una o l’altra delle platee di consenso di Giorgia Meloni. Non è un caso che il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che queste cose le sa, nei giorni scorsi se ne sia uscito sostenendo che «bisogna evitare l’assalto alla diligenza». A patto però che il governo prenda coscienza delle proposte confindustriali che seppur a più lunga scadenza (tre anni) chiedono impegni di spesa. Comunque per evitare l’assalto alla diligenza di cui sopra il centro-destra sarà attentissimo a selezionare gli emendamenti presentati in Parlamento. Avranno semaforo verde solo quelli vistati preventivamente dal governo, proprio per evitare scherzi.
La strategia del Mef
Lo schema di una destra di governo dell’anno di grazie 2025 dovrebbe alla fine ricalcare gli interventi del titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti. Far leva quindi sull’apprezzamento degli investitori internazionali per le scelte prudenti fin qui adottate, guardare alla discesa dello spread e magari al miglioramento del rating. L’inglese che nel passato è stata la “lingua” del centro-sinistra cambia padrone e diventa parte costitutiva del gergo del centro-destra. Paradossi della politica.
Accanto alle coerenze che il ministro e Meloni offrono c’è anche intorno tanta comunicazione. Sappiamo che la destra ha bisogno di un capro espiatorio, di un punching ball verso cui dirottare le contrarietà dei cittadini a cominciare dai propri seguaci. Nel caso della manovra 2025 sembrano essere ancora le banche, un soggetto che si sa non essere amatissimo. Se Giorgetti riuscirà a superare la decisa contrarietà di Antonio Tajani e riuscirà a cavar soldi dagli istituti di credito ci sarà spazio per qualcuno dei provvedimenti-bandierina, magari quelli indirizzati al ceto medio.
Pur godendo di una buona reputazione e vestendo bene, per ora, i panni dei cosmopoliti, nel Dna del centro-destra italiano resta sempre una cultura politica che si muove per misure che diano soddisfazione diretta a singoli segmenti della società. Un esempio su tutti: l’emendamento presentato da Fratelli d’Italia per allungare i permessi dei dehors per bar e ristoranti. Potremmo aggiungere la strenua difesa degli interessi micro-corporativi di taxisti e balneari per completare il quadro e capire come si muovano.
Infatti allargando un po’ la visuale sono diverse le idee che circolano nei tre partiti della maggioranza e che in qualche modo contengono in sé un’idea di scambio politico molto ravvicinato.
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Avendo dedicato la legge di bilancio dell’anno scorso ai redditi medio-bassi con il taglio del cuneo fiscale (in parte annullato dal peso del fiscal drag) quest’anno la platea che si vuole premiare è quella del ceto medio nella fascia tra i 28 e i 50 mila euro. Politicamente parlando lo schema è semplice e fa riferimento all’equazione ceto medio uguale centrismo, e di conseguenza prelude a una tentativo di prendere voti fuori della coalizione nell’area che in passato ha votato Renzi e Calenda. Ma tagliare l’Irpef al ceto medio costa e non è detto che l’operazione riesca.
Un’altra misura che è raccontata come «in fase di studio» riguarda i salari e la defiscalizzazione di tutti i premi contenuti in busta paga. Ma anche in questo caso vanno previste le coperture. E non è finita qui: i leghisti amano incondizionatamente la flat tax come loro proposta di scambio con il lavoro autonomo e vorrebbero allargare i benefici di una fiscalità preferenziale. Come finirà? Per ora dentro la maggioranza siamo alla fase tecnica, alla contabilità dei costi dei vari provvedimenti, alla comunicazione di propositi per scaldare la platea. Quando si arriverà alle decisioni finali, che saranno giocoforza più restrittive, ci vorrà un surplus di mediazione politica per non scontentare nessuno. Anche se, per i segmenti sociali di cui abbiamo parlato, il rischio che scavallino e offrano i loro consensi al centro-sinistra di Elly Schlein è giudicato dai sondaggisti alquanto remoto.
L’opposizione, almeno per ora, non si presenta come una minaccia incombente e un’alternativa già pronta. In più sui temi della congiuntura e della manovra non esiste una piattaforma di priorità e tantomeno quest’eventuale schema risulta condiviso da Pd, Avs e Cinque Stelle. Sappiamo che dentro questo tridente ci sono scuole e opinioni di politica economica molto differenti tra loro, da Giorgio Gori a Pasquale Tridico.
Il dibattito in Parlamento
Meloni può sperare che prevalga nel dibattito parlamentare e nella propaganda politica un’anima più barricadera e quindi «spendacciona» proprio per cercare di chiudere l’opposizione in un recinto di protesta velleitaria. E rivendicare a sé e a Giorgetti il ruolo degli statisti che sanno tener ferme le loro coerenze. Che invece di perder tempo con i vecchi emendamenti strampalati, scritti solo per la gloria e il curriculum del parlamentare proponente, se devono sporcarsi le mani montano operazioni di aggancio al ceto medio oppure quella di mettere un argine al costo delle bollette dell’energia per famiglie e imprese.
Un intervento a cui, guarda caso, tiene moltissimo Orsini. Che, per l’appunto, ha chiesto niente assalti alla diligenza ma scelte mirate.
26 settembre 2025
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