
«Sono stato pagato 10 miliardi? Non mi dà fastidio. Le cifre non incidono sulla mia professionalità. In campo darei l’anima anche per mille lire. Forse sono un predestinato, visto il mio cognome». Rileggere queste parole oggi, a 30 anni dalla sua morte, fa pensare a un crudele scherzo del destino. L’ex Juventus Andrea Fortunato ci salutava il 25 aprile del 1995, portato via a 23 anni da un’infezione polmonare dovuta allo stato di immuno-deficienza collegato alle cure per la leucemia, diagnosticata un anno prima. Dopo averlo osservato in un’amichevole estiva, l’allora allenatore della Juventus Giovanni Trapattoni commentò soddisfatto: «Ecco il nuovo Cabrini, abbiamo risolto il problema sulla sinistra». Anche Gigi Casiraghi alzò il pollice: «Finalmente uno che sa crossare alto o basso». La sua sembrava essere un’ascesa rapida, così come velocissima è stata la fine.
Famiglia borghese, i libri, la battuta a Boniperti
Carattere forte, delle volte quasi una testa calda. Tosto, a tratti sfacciato, paura mai. A 21 anni, appena arrivato a Torino, andò a sedersi allo stesso tavolo di Giampiero Boniperti, che a quei tempi era la Juventus. Quest’ultimo gli disse che alla Juve non era il caso di tenere i capelli lunghi e Andrea rispose che certo, nessun problema, se li sarebbe tagliati, ma solo quando Baggio avrebbe rinunciato al codino. Di famiglia borghese (il padre cardiologo, la mamma bibliotecaria, un fratello avvocato e una sorella laureata in lingue), non gli è mai mancato niente, anche se l’educazione è stata a dir poco severa. A 13 anni gioca attaccante nella sua Salerno, arrivano tante offerte e i genitori quasi lo sfidano: «Se ami così tanto il calcio, inseguilo nel posto più lontano». Deve decidere fra Atalanta e Como, che è più distante di Bergamo. Parte, mai una lacrima. Da attaccante diventa terzino, i voti a scuola restano ottimi come aveva promesso a casa.
La Juventus, il calo e la contestazione
Un giovane Beppe Marotta, allora dirigente del Como, lo cede al Genoa per 4 miliardi di lire: «Era intelligente e intuitivo, zero sudditanza. Aveva tutto per sfondare», ha spesso ricordato l’attuale presidente dell’Inter. Poi l’anno di prestito in B col Pisa del Cholo Simeone, quindi Spinelli lo riprende per la A. Tempo una stagione, lo vuole il Parma che offre più della Juve, ma lui è bianconero nel cuore (da sempre) e non ha dubbi. L’inizio è ottimo, poi il calo suo e della squadra nel girone di ritorno, il Milan che prende di nuovo il largo, lo scudetto che si allontana per l’ottavo anno di fila. I tifosi si infuriano con lui e i compagni: «Non correte più, non vi frega niente». Le contestazioni sempre più feroci sfociano in sputi e spintoni dopo l’eliminazione in Coppa Uefa ad opera del Cagliari. Andrea viene aggredito, incassa due schiaffoni prima di rifugiarsi sul pullman. Gli ultras lo accusano di essere uno scansafatiche, un viveur, troppo molle per i loro gusti.
I sintomi, la stanchezza appena sveglio
Fortunato in realtà non sta bene, di fisico prima ancora che con la testa. Lamenta una insolita spossatezza e qualche fastidio muscolare oltre a una persistente febbriciattola. Lara, la sua fidanzata, è influenzata: «Mi avrà attaccato qualcosa», pensa. Il 20 maggio la Juve gioca un’amichevole estiva a Tortona. Prima di partire Andrea si confida con Riccardo Agricola, responsabile medico del club: «La mattina mi sveglio come se avessi appena giocato una partita estremamente impegnativa», gli spiega. A Tortona gioca 45′, poi chiede il cambio, esausto. Agricola constatata una nuova, imprevista alterazione febbrile e decide di sottoporlo a più approfonditi controlli. I risultati gelano tutti: è leucemia.
L’ottimismo iniziale, la terapia innovativa
L’angoscia si trasforma in incredulità e poi in illusione. Considerando la giovane età e il vigore fisico, dicono i medici, ci sono molte probabilità che possa guarire e tornare perfino a giocare. Al pianterreno del reparto ematologia delle Molinette ci sono sei posti, il suo è l’unico occupato. Poi Andrea viene spostato in un altro reparto, un ambiente sterile. Con la chemio infatti, diminuiscono le difese immunitarie e un’eventuale infezione, magari banale, potrebbe avere esiti pericolosi. Il suo sangue traboccante di globuli bianchi (alla prima analisi ce ne sono 57000 per millilitro al posto dei normali 5/6000) migliora subito grazie a una terapia tedesca BFN innovativa e molto aggressiva». Andrea non è costretto a letto, può camminare per la stanza con la flebo sempre attaccata al braccio. La mattinata chiede l’intera «mazzetta» dei quotidiani, l’appetito non gli manca, si divora pasta al forno e bistecca.
Il procuratore Massimo Fornaro lo va a trovare spesso: «Ho preso a calci gli studi per diplomarmi e ci sono riuscito, ho preso a calci il pallone per far carriera e adesso prenderò a calci anche i globuli bianchi per guarire», ci scherza: «E se non ti batto a scopone prendo a calci pure te…». Andrea si sente addirittura «rinato», un tossicodipendente consegna ai familiari un’immagine di Padre Pio e un messaggio: «Caro Andrea, questa immagine ora serve più a te che a me». Dopo un paio di giorni Gianfranco Aimar, un giovane arbitro guarito dalla leucemia gli scrive una bellissima lettera: «Io non mi sono mai considerato diverso dagli altri, dai ragazzi della mia età — spiega Fortunato nella sua prima intervista a La Stampa — Eppure, oggi più che mai, mi sento uguale a tanta gente anonima. In ospedale si è uguali tutti, per davvero».
I trapianti, la ripresa e la morte
In estate si sposta a Perugia, al Policlinico Silvestrini. A livello mondiale non è stato reperito un donatore di midollo osseo geneticamente compatibile e si procede quindi con quello della sorella, la cui compatibilità è parziale. Il compagno di squadra Fabrizio Ravanelli mette a disposizione dei genitori un appartamento vicino all’ospedale, ma l’organismo di Andrea rigetta le cellule. Si prova dunque con quelle del padre in un ciclo di tre infusioni, la prima il 26 luglio, giorno del suo 23° compleanno. Risponde bene, migliora, i capelli ricrescono, da 58 chili la bilancia ne segna 70. Il 14 ottobre 1994 mette finalmente piede fuori dalla sua camera d’ospedale e ottiene il via libera per tornare ad allenarsi in palestra. Il 25 febbraio 1995 la Juve gioca a Genova e lui va a trovare i compagni, la più gradita delle sorprese. La leucemia sembra sempre più debole, ma la febbriciattola ogni tanto ricompare. A Pasqua il fiato è di nuovo corto, fa fatica a parlare. La situazione degenera fino alla resa del 25 aprile.
Il ritorno in campo e la solidarietà di Firenze
«Quando l’ho saputo, mi sono sentito ammazzare», il dolore di Baggio. «Era il mio più grande amico, la persona che più mi somigliava», gli fa eco Panucci. A Salerno, il giorno dei funerali, ci sono 6mila persone. Gianluca Vialli appoggia un largo foglio di carta sul leggio e comincia a leggere. «A nome di tutta la squadra… — scandisce con voce velata dalla commozione — Non ti nascondiamo, Andrea, che quando abbiamo avuto la tragica notizia ci siamo arrabbiati tanto. Ti credevamo invincibile. In questi undici mesi hai insegnato a tutti noi come vanno affrontati i problemi, quelli veri. Mai un lamento, non volevi che soffrissimo per te. Da lassù, non piangere», cosa che non riesce all’attaccante, costretto a fermarsi per due volte. Il 30 aprile la Juve gioca a Firenze, ambiente sempre ostile. Ma sul megaschermo del Franchi compaiono le parole commosse scritte da un tifoso viola in saluto al campione scomparso. Nel settore ospiti ecco invece uno striscione scritto in nero su arancione: «Andrea, un angelo ti ha messo le ali e ti ha insegnato a volare». Il minuto di raccoglimento è toccante, la curva viola lancia il suo messaggio in rosso su tela bianca: «Due maglie ci dividono, il dolore ci unisce». La Juve vincerà 4-1, segnano Vialli, Baggio, Ravanelli e Marocchi. Tutti con gli occhi rivolti al cielo.
«Andrea non è morto invano»
Quasi un mese dopo, il 16 maggio 1995, una macchina si ferma davanti alle mura del vecchio Comunale. A bordo ci sono il dottor Agricola e Giuseppe Fortunato, il papà di Andrea. Quest’ultimo percorre quel corridoio lungo e
restretto tante volte attraversato dal figlio. È un uomo forte il professor Fortunato, è venuto a Torino con sua moglie per rivedere i luoghi dove Andrea è stato felice come per esempio lo spogliatoio, dove l’armadietto c’è ancora, accanto a quello di Ravanelli. Poi è entrato in campo, dove era appena iniziato l’allenamento. Si è seduto sulla panchina, con Agricola, ed è stato lì, muto, per qualche minuto. Quindi poche parole, ma decise «La ricerca sulla leucemia ha avuto nuovo impulso, Andrea non è morto invano».
25 aprile 2025
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