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«Almasri scarcerato per evitare ritorsioni. Ma furono atti illeciti»: l’accusa ai componenti del Governo

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«Sia i ministri Nordio e Piantedosi, sia il Sottosegretario Mantovano erano perfettamente consapevoli del contenuto delle richieste di cooperazione inviate dalla Corte penale internazionale e, in particolare, del mandato di arresto spiccato nei confronti dell’Almasri. Non dando corso a tali richieste il primo, decretando il secondo la formale espulsione del ricercato con un provvedimento, viziato da palese irrazionalità e disponendo il terzo l’impiego di un volo CAI (la compagina dei servizi segreti, ndr) che ne ha assicurato l’immediato rientro in patria, hanno scientemente e volontariamente aiutato il predetto a sottrarsi alle ricerche e alle investigazioni della Cpi». È questa la sintesi dell’atto d’accusa nei confronti dei responsabili della Giustizia, dell’Interno e dell’autorità delegata alla sicurezza nazionale, per i quali il tribunale dei ministri ha chiesto alla Camera dei deputati l’autorizzazione a procedere. Ciascuno con una sua specifica responsabilità nei tre passaggi essenziali della scarcerazione nel rimpatrio del generale libico ricercato dalla Corte dell’Aia per crimini di guerra e contro l’umanità.

La riunione a Chigi

Una decisione scaturita non dalle motivazioni illustrate dal Guardasigilli Nordio e dal suo collega del Viminale Piantedosi al Parlamento nel febbraio scorso, ma dai timori di rappresaglie libiche evidenziati fin dalla prima riunione svoltasi a palazzo Chigi domenica 19 gennaio, poche ore dopo l’arresto di Osama Najeem Almasri a Torino. In quell’improvvisato vertice in videoconferenza con la partecipazione di Mantovano, Piantedosi, il ministro degli Esteri Tajani, capi di gabinetto vari e responsabili della sicurezza, il capo dell’Aise (servizio segreto esterno) Giovanni Caravelli spiegò che c’era il concreto rischio di ritorsioni da parte delle autorità di Tripoli.

Non aveva notizie di «specifiche minacce di attentati o atti di rappresaglia nei confronti di cittadini italiani in Libia, ma c’era molta agitazione ed indicatori di possibili manifestazioni o possibili ritorsioni nei confronti dei circa cinquecento cittadini italiani che in qualche maniera vivono a Tripoli o arrivano a Tripoli o in Libia, nonché nei confronti degli interessi italiani».
Il caso di Cecilia Sala arrestata a Teheran dopo il fermo a Milano dell’ingegnere iraniano Abedini, risolto a fatica con la scarcerazione della giornalista italiana solo dopo la promessa che l’iraniano non sarebbe stato consegnato agli Stati Uniti, era recentissimo, e il capo dell’Aise «ipotizzava che la Rada Force (di cui faceva parte Almasri, ndr), gestendo l’attività di polizia giudiziaria, avrebbe potuto effettuare dei “fermi” di nostri cittadini all’ingresso nel Paese e sul territorio libico o perquisizioni negli uffici dell’Eni».

Valutata questa possibilità si è deciso di scarcerare Almasri, e s’è messa in moto la macchina.

Nordio non ha dato esecuzione al mandato d’arresto della Cpi, violando almeno sei articoli dello Statuto di Roma che regola i rapporti tra l’Italia e la Corte dell’Aia. Il Guardasigilli «decise di assumere un contegno attendista delle decisioni della Corte d’appello di Roma, non solo rimanendo inerte in attesa di tale decisione ma convenendo, altresì, in accordo con gli altri vertici istituzionali, sull’opportunità di espellere l’Almasri, ove fosse stato scarcerato». Secondo i giudici «gli atti dovuti e omessi dal ministro avrebbero dovuto essere compiuti per ragioni di giustizia, vale a dire per dar corso alla richiesta di cooperazione della Cpi», ed erano atti per i quali «la legge attribuisce al ministro della Giustizia una posizione di garante della corretta e tempestiva esecuzione della procedura. Nella specie, il fatto stesso che l’Almasri fosse stato arrestato determinava una situazione di urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, entro il termine previsto dalla legge per la convalida, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale ha assunto, per l’appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo».

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Le «omissioni»

Soprattutto dopo che gli uffici tecnici del ministero si erano attivati per trovare la soluzione all’arresto definito «irrituale» e consentire di trattenere in carcere il ricercato, per il tribunale dei ministri l’omissione del Guardasigilli «può fondatamente ritenersi che sia imputabile ad una scelta cosciente e volontaria. Tale conclusione è vieppiù avvalorata dalla circostanza che il ministro aveva dato disposizioni per bloccare ogni comunicazione con la Cpi e che, anzi, a monte, tale direttiva era stata impartita in un primo momento per evitare, finanche, l’arrivo degli atti agli Uffici tecnici del DAG, che, ciò nondimeno, si erano attivati per acquisirli di loro iniziativa».

Secondo i magistrati del collegio lo Statuto di Roma, «pur conferendo al ministro il compito di curare in via esclusiva i rapporti dell’Italia con la Cpi e di dare impulso alla procedura, non gli attribuisce alcun potere discrezionale (salvo alcune eccezioni che non sono applicabili a questo caso ndr) ma, anzi, lo investe della funzione di garante del buon esito della stessa». Nordio, secondo l’atto d’accusa, ha fatto il contrario senza averne i poteri.

La conseguente liberazione di Almasri da parte della Corte d’appello ha portato poi all’espulsione in via d’urgenza decisa dal ministro dell’Interno Piantedosi. Un atto motivato con le «esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, in virtù del richiamo al mandato di arresto internazionale emesso dalla Cpi». Ma nella lettura dei giudici è una giustificazione che non tiene: «Posto che i reati per i quali è indagato il citato cittadino libico dinanzi alla Cpi sarebbero tutti stati commessi in patria, mentre in Italia, così come negli altri Paesi europei non risulta che il predetto si sia reso responsabile di alcun reato, né abbia altrimenti posto in pericolo l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, l’espulsione ed il successivo accompagnamento in Libia a mezzo di volo Cai, motivati solo con il riferimento alle suindicate esigenze di sicurezza correlate al mandato di arresto della CPI, hanno portato ad un risultato paradossale: ricondurre il ricercato Almasri, libero, lì dove avrebbe potuto continuare a perpetrare condotte criminose analoghe a quelle di cui era già accusato. Ne consegue che l’atto amministrativo, per come motivato, risulta viziato da palese irrazionalità e, come tale, illegittimo».

Dopodiché è scattato il ricorso al volo di Stato autorizzato dal sottosegretario Mantovano,che ne aveva parlato a Caravelli fin dal pomeriggio del giorno 20 gennaio, cioè il giorno prima del rimpatrio e mentre ancora la Corte d’appello di Roma (come anche Nordio) doveva decidere il destino del ricercato. Su questo punto i giudici notano che «pur nella ampia discrezionalità di cui godono i Servizi nel disporre degli aerei di tale società per finalità di sicurezza, il raffronto tra il caso in esame e i precedenti ricordati sia dai Servizi che nella memoria degli indagati (presentata nelle scorse settimane al tribunale dei ministri, ndr) induce un’ulteriore riflessione: si tratta, in tutti i casi precedenti, di voli disposti per assicurare il recupero e/o rientro in Italia di persone che correvano all’estero dei pericoli, oppure erano latitanti o colpite da mandati di arresto internazionale o dovevano essere altrimenti assicurate alla giustizia. Solo nel caso dell’Argo 16 (risalente al 1973, per rimpatriare alcuni palestinesi arrestati in Italia, ndr) il volo Cai era stato impiegato per sottrarre alla giustizia dei presunti terroristi, ricercati da Israele, su richiesta, anche in quella occasione, della Libia, allora governata dal colonnello Gheddafi».

La festa all’arrivo

E «fuorviante e non aderente ai dati di fatto è l’ulteriore argomento che fa leva sulla necessità di poter atterrare e ripartire in condizioni di sicurezza da Tripoli, lasciando implicitamente intendere che ciò non sarebbe stato possibile con un normale volo di linea», giacché risulta che i voli di linea funzionassero regolarmente. E del resto «essendo l’Almasri uno dei capi della Rada Force che controllava, tra l’altro, l’aeroporto di Mitiga, è verosimile ritenere che qualunque aereo — anche di una normale compagnia di navigazione – avesse riportato in patria l’Almasri, sarebbe stato accolto in modo festoso, come in effetti avvenuto all’arrivo del volo Cai». Di qui l’accisa estesa anche all’autorità politica responsabile dei servizi segreti, che insieme ai due ministro della Giustizia e dell’Interno, secondo i giudici, «ha concorso nell’aiutare l’Almasri a sottrarsi al mandato di arresto internazionale della Cpi ed a eludere le investigazioni della medesima Autorità».


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6 agosto 2025 ( modifica il 6 agosto 2025 | 00:59)

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