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Almasri, per il governo l’indagine su Bartolozzi è un «atto di guerriglia». Dietro le carte la partita sulla riforma della giustizia

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«Speriamo che lo stesso impegno venga messo nei processi di mafia…». A ogni puntata giudiziaria sul caso Almasri, il sottosegretario alla Presidenza, Mantovano, ha sempre ripetuto questa frase nei suoi colloqui riservati. Un modo tagliente per commentare l’azione delle toghe che stanno gestendo il procedimento aperto dopo la decisione del governo di rimpatriare il torturatore libico, inseguito da un mandato di cattura dalla Corte penale internazionale, arrestato a Torino il 19 gennaio e rispedito in patria con un aereo di Stato. Raccontano che Mantovano si sia espresso così anche ieri, quando è venuto a sapere che la Procura di Roma aveva iscritto nel registro degli indagati la capo di Gabinetto del ministero della Giustizia, Bartolozzi, per falsa testimonianza.

Nelle parole del braccio destro di Meloni ci sono insieme una valutazione tecnica sullo svolgimento dell’inchiesta e una considerazione politica su quali siano le sue finalità. Perché «le carte — secondo un’autorevole fonte di governo — non sono un atto d’accusa contro l’esecutivo ma una foto sullo stato in cui versa oggi la magistratura». Lo scenario a cui si allude, sulla base della lettura delle carte, è il tentativo delle toghe di minare la stabilità politica. Per quanto la sorte dell’inchiesta sia di fatto già scritta: in Parlamento la maggioranza negherà l’autorizzazione a procedere per il Guardasigilli Nordio, per il titolare dell’Interno Piantedosi e per lo stesso Mantovano.

Perciò la scelta della Procura di Roma di indagare la capo di Gabinetto della Giustizia è vissuta a Palazzo Chigi come «un atto di guerriglia», l’idea cioè di usare Bartolozzi alla stregua di un cavallo di Troia per entrare così nella cittadella del governo e lasciare che siano poi le forze di opposizione a colpire Meloni. «L’operazione della Procura è chiara», spiega un ministro, «pensano di dividerci tra Orazi e Curiazi. Ma faremo muro anche a difesa della capo di Gabinetto». Si vedrà quali modalità tecniche verranno adottate: chiedere che la posizione di Bartolozzi sia «connessa» a quella dei membri del governo, potrebbe servire nel caso in cui si arrivasse al conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. O potrebbe essere usata come memoria difensiva dalla stessa Bartolozzi, qualora venisse chiamata a processo.

Al fondo però, dietro la battaglia legale, emerge la vera posta in palio. Che è politica, e ruota attorno alla riforma della giustizia. Per la presidente del Consiglio «è solare che l’inchiesta c’entra con la nostra decisione di separare le carriere dei magistrati». Così come è «solare» che questa narrazione dell’esecutivo, per metà fatalista e per metà vittimista, sia funzionale all’impostazione della prossima campagna referendaria: anche il caso Almasri infatti — riconosce un ministro — verrà usato come «un manifesto per evidenziare le storture del sistema giudiziario. Ci darà una grande mano con l’opinione pubblica quando arriverà il momento».

Secondo i sondaggi, l’affaire che appassiona da mesi il Palazzo non ha grande presa negli elettori. E numeri alla mano non avrebbe influenza sulle intenzioni di voto per le prossime elezioni regionali. Pare che i cittadini fatichino a comprendere i dettagli, anche se hanno la «sensazione» che si sia trattato di un «pasticcio all’italiana».

Resta allora da capire se la gestione del tagliagole libico da parte di Palazzo Chigi sia stata lineare. Perché è vero che attorno alla vicenda si sono mosse, fin dall’arresto di Almasri, molteplici e delicate questioni di interesse nazionale: sul fronte economico, ma soprattutto su quello geopolitico e della sicurezza interna. E non c’è dubbio che in quei giorni «qualche errore» sia stato commesso. Il punto è che nei posti apicali del governo ci sarebbero stati pareri diversi su una modalità di azione: tra chi riteneva opportuno apporre subito il segreto di Stato sul dossier, e tra questi ci sarebbe stato Mantovano, e chi non lo giudicava necessario. Ma sul fatto che bisognasse rimandare al mittente l’ingombrante ospite nessun dissenso.


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10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 09:49)

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