
Tra le fonti compulsate dall’Aise, il servizio segreto per la sicurezza esterna, sui rischi e i possibili «atti di rappresaglia» contro gli italiani in Libia derivanti dall’arresto di Osama Najee Almasri c’è anche la Rada Force, la Forza speciale antiterrorismo di cui proprio Almasri era un «elemento di vertice». L’ha spiegato il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, al tribunale dei ministri, precisando che la Rada «operava in quartieri nevralgici di Tripoli, compreso quello dove erano dislocate la nostra ambasciata e la residenza dell’ambasciatore».
In più Caravelli ha aggiunto di aver riferito fin dalla prima riunione a Palazzo Chigi che «l’Aise aveva una collaborazione molto proficua con la Rada in materia di contrasto ad attività criminose di vario genere, con particolare riferimento a quelle legate ai traffici di esseri umani, oli combustibili e stupefacenti, o attività terroristiche».
Sembra dunque di capire che oltre ad evitare ritorsioni, peraltro non si aveva «notizia di specifiche minacce», l’Italia avesse il problema di non rinunciare all’aiuto dei miliziani di Tripoli nel contenimento dell’immigrazione clandestina. E a proposito della «figura di spicco e molto ben considerata» di Almasri, Caravelli ha sostenuto che i Servizi italiani non sapevano ci fosse un’indagine a suo carico della Corte dell’Aia; affermazione che il tribunale dei ministri giudica «poco verosimile», dal momento che tre anni fa la Procura della Cpi è entrata nella Squadra congiunta che indaga sui crimini commessi contro migranti e rifugiati in Libia, assieme a Italia, Olanda, Regno Unito e Spagna.
Ma a prescindere da Almasri, il cuore del caso che porta il suo nome è proprio nelle considerazioni emerse durante le riunioni segrete svoltesi a palazzo Chigi nei due giorni successivi al suo arresto, in cui è emerso l’interesse dell’Italia a liberare il ricercato libico anziché consegnarlo alla Cpi. In virtù di uno «stato di necessità» invocato nella memoria depositata dalla difesa dei ministri indagati la settimana scorsa, il 30 luglio.
«Interesse nazionale»
È l’ultimo atto del procedimento del tribunale dei ministri concluso con le richieste di autorizzazione a procedere contro Nordio, Piantedosi e Mantovano, nel quale l’avvocata (e senatrice leghista) Giulia Bongiorno richiama l’articolo 25 di un documento della Commissione Onu sulle responsabilità degli Stati per le violazioni del diritto internazionale. Lì è previsto che un obbligo internazionale (come l’esecuzione di un mandato d’arresto della Cpi) possa essere disatteso quando «è l’unico mezzo per lo Stato di salvaguardare un interesse nazionale a fronte di un pericolo grave e imminente».
Ma secondo i giudici del collegio per i reati ministeriali, stavolta non c’era alcun pericolo grave e imminente, poiché «nessuna delle paventate generiche ritorsioni si era estrinsecata in una minaccia concreta, dotata di una certa consistenza». Tanto più che, in Parlamento, il ministro dell’Interno Piantedosi aveva solennemente smentito «nella maniera più categorica che il governo abbia mai ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere anche solo lontanamente considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto da parte di chiunque».
«Segreto di Stato»
Nemmeno il ministro della Giustizia Nordio aveva fatto cenno allo «stato di necessità», limitandosi a criticare la «presunta illegittimità» del mandato d’arresto della Cpi. Così come non aveva parlato della concomitante richiesta di estradizione annunciata dalla Libia, da valutare e bilanciare con quella giunta dall’Aia. Solo nella testimonianza della capo di Gabinetto Giusi Bartolozzi (bollata come «inattendibile, anzi mendace»), la richiesta libica è spuntata tra le ragioni dell’inerzia del Guardasigilli, a fronte della solerzia degli uffici ministeriali che avevano già predisposto il provvedimento da far firmare al ministro per sanare asseriti vizi procedurali e tenere Almasri in carcere.
Bartolozzi ha detto che l’aveva annunciata, chiedendo la massima riservatezza, il prefetto Caravelli nelle riunioni segrete convocate da Palazzo Chigi: «Era una cosa coperta da segreto di Stato», di cui lei non poteva parlare né all’interno del ministero né alla Cpi che insisteva per avere un’interlocuzione con il Guardasigilli per superare eventuali dubbi o problemi relativi all’arresto di Almasri. Solo la capo di Gabinetto fa riferimento a un segreto di Stato mai opposto né apposto da nessuno in questa vicenda; nemmeno da Caravelli, durante l’istruttoria. «Io non so se c’era — ha precisato Bartolozzi ai giudici —, io so che in quella riunione dissero espressamente che di questa cosa non si doveva fare cenno alcuno, con nessuno… Io non informai nessuno al ministero fuorché il ministro».
Tuttavia questa richiesta libica aleggiata come un fantasma (arrivata e protocollata solo dopo che Almasri era stato rimpatriato) Bartolozzi non l’ha mai vista. Come potevano allora, lei il ministro, fare il «bilanciamento» con quella della Cpi? Risposta: «Sulla base delle informazioni fornite dai Servizi, poiché in queste occasioni non si mette in dubbio ciò che dicono i Servizi… La valutazione per noi era prima politica che non… altro».
«Basta, non fate altro»
Anche per questo, sostiene la principale collaboratrice di Nordio, lei non ha fatto vedere al ministro la bozza di provvedimento preparata dal Dipartimento affari di giustizia all’epoca diretto da Luigi Birritteri: «Mancava quell’altra parte che io sapevo e che noi stavamo coltivando con i Servizi, quindi per me era un mero esercizio tecnico». Del resto già nel pomeriggio di domenica 19 gennaio, poche ore dopo l’arresto di Almasri, Bartolozzi aveva dato prova di voler gestire in proprio e in segreto l’intera vicenda. Tanto che alla dottoressa Maria Emanuela Guerra del Dag che l’aveva chiamata per avvisarla che dall’Aia era arrivata tutta la documentazione della Cpi, «aveva replicato, quasi rimproverandola, “Basta, basta, basta! Non comunicate più!”». Chiedendole di informare anche il magistrato di collegamento in Olanda: «Non faccia altro e si fermi così».
Vai a tutte le notizie di Roma
<!–
Corriere della Sera è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.–>
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
7 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA