
Chi era Alexander Langer? I trent’anni passati da quel 3 luglio 1995, giorno in cui Alex ha deciso di prendere commiato dal presente, sono un buon tempo per chiederselo. E vale per le nuove generazioni, quarantenni compresi, che non lo hanno conosciuto ma anche per quanti lo hanno frequentato e, alla luce di com’è radicalmente cambiato il mondo, si interrogano oggi sull’importanza della sua figura e del suo pensiero. Alex è stato un uomo di confine, non solo perché è nato in un paese (Vipiteno/Sterzing) a pochi chilometri dall’Austria, ma perché del confine ha saputo più di altri comprenderne appieno la ricchezza e la complessità. La sua biografia è un intreccio tra origini culturali, linguistiche e religiose diverse. Quando da ragazzo girava l’Italia e l’Europa, diceva di non sentire come propria nessuna delle bandiere sventolanti davanti agli ostelli.
La formazione e il «gruppo misto»
Formatosi al Franziskanergymnasium di Bolzano e impegnato nella congregazione mariana, il suo ideale ecumenico lo aveva portato a ricercare il dialogo tra diversi, a sentirsi fin da allora costruttore di ponti, vocato a favorire il contatto e la conoscenza tra cattolici tedeschi e italiani. E quello di gettare ponti per unire chi sta da una parte e dall’altra è stata la ragione di un impegno ininterrotto, portato avanti senza risparmiarsi, per dimostrare che è possibile vivere tra due mondi, sia che si tratti di realtà che hanno a che fare con lingue, culture e religioni diverse. Sia che incrocino sponde apparentemente lontane come etica e politica, utopia e concretezza. Poi c’è stata l’esperienza del «gruppo misto», ragazzi e ragazze di lingua tedesca, italiana e ladina, che a metà anni sessanta si radunavano regolarmente a studiare insieme la storia del Sudtirolo e capire come sarebbero potute andare diversamente le cose, mentre fuori proseguiva lo stillicidio degli attentati e l’alternativa pareva ridursi a rafforzare uno o l’altro dei due blocchi contrapposti. Dentro a quella esperienza, di cui era stato animatore, Langer aveva cominciato a comprendere che un gruppo misto poteva essere la chiave per capire e affrontare i problemi del Sudtirolo, sperimentando la convivenza in piccolo.
Gli appelli dal giornale studentesco
Nel 1964, appena diciottenne, dalle pagine di «Bizeta58», un giornale studentesco bolzanino, spronando i giovani di lingua tedesca a praticare il dialogo con i giovani di lingua italiana, li esortava ad avere coraggio di essere chiamati traditori da coloro che non si erano mai sforzati di raggiungere una vera convivenza. Per bandire e censurare qualsiasi forma di opposizione al pensiero comune, alla codificazione dell’essere sudtirolese a una sola dimensione, l’establishment politico culturale ricorreva infatti allo strumentario più grezzo e anche più risolutivo: la costruzione del nemico. E non c’era nemico peggiore di quello interno. Le critiche al richiamo all’unità del gruppo etnico assunta come valore assoluto di riferimento politico-culturale e coltivata dalla culla alla tomba, le pratiche di dialogo e convivenza interetnici, erano considerate atti di vero e proprio tradimento. Con quell’appellativo era stato etichettato anche Langer, considerato a torto un nemico dell’autonomia. Ma quel pubblico marchio d’infamia Alex lo aveva saputo trasformare come pratica per affrontare e dissolvere la conflittualità etnica. Occorrono «traditori della compattezza etnica», ma non «transfughi», avrebbe scritto più tardi Langer nel Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica, sua riflessione matura sul tema, parlando dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera.
Il Sudtirolo come laboratorio
Alex intendeva persone capaci di chiamarsi fuori dal proprio fronte quando questo si chiude in cieco esclusivismo, quando il «rimanere uniti» è l’unico valore che tutto sopporta, giustifica e cancella. Tradire allora diventa un atto d’amore e di verità per la propria parte. Una lezione che valeva ben oltre la specifica esperienza locale. Langer è stato il primo a credere che il Sudtirolo potesse diventare un laboratorio su cui sperimentare il futuro europeo. La sua capacità di visione ha portato molti a definirlo «profeta», soprattutto nel mondo dell’ambientalismo è ricordato così, per aver prima di altri compreso l’urgenza di impegnarsi culturalmente e politicamente sul piano della salvaguardia e della cura dell’ambiente. Ma più che un talento profetico, Alex ha dimostrato di possedere la capacità di saper cogliere i segni dei tempi. Il suo è stato uno sforzo costante capire il presente e le sue traiettorie.
I grandi temi del Novecento
La visione profetica, che molti gli riconoscono, sui grandi temi del secondo Novecento, dall’ambiente alla convivenza tra diversi, altro non è che il frutto di questa attitudine. Dal conflitto etnico nel suo Sudtirolo alle lotte del Sessantotto, dalla questione ambientale alla guerra nell’ex Jugoslavia, ovvero dentro le piccole e grandi cesure della storia più recente, il suo stare nel presente lo ha reso inoltre assai poco incline a lasciarsi irretire dagli -ismi e dalla loro tendenza a rinchiudere la realtà dentro gli schemi severi delle ideologie. Oggi Langer resta un punto di riferimento per coloro i quali aspirano a una società più giusta. Una figura cui avvicinarsi per i valori di cui è portatrice e per essere espressione autentica della cultura del dialogo e della riconciliazione, della conversione ecologica, della pace.
3 luglio 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA