
«Sono iscritto alla Lega dal 1990, Alberto non era ancora nato». Matteo Salvini parlava così in primavera di Alberto Stefani, segretario regionale della Lega e ora candidato alle elezioni regionali in Veneto per il centrodestra. Stefani, per inciso, sarebbe nato due anni dopo: adesso ne ha 33, compiuti da poco, e nel Carroccio si è ricavato un ruolo di primo piano in tempi brevissimi, basti pensare che dall’anno scorso è anche vice segretario federale, concentrato sui concetti di identità e di territorio.
Su una Lega che non si piega, che insegue l’Autonomia e il Federalismo (arriverà entro fine anno, gli ha promesso il ministro Calderoli) «contro il globalismo», «prima le comunità locali e poi lo Stato». «Siamo l’unico partito identitario, capace di resistere anche al peggiore degli inverni» incitava a marzo i suoi, Stefani. «Essere della Lega significa mettere da parte paure e rischi, percorrere la strada più difficile per difendere le proprie idee, la Lega non è nata per adeguarsi ma per costruire nuovi schemi, siamo liberi e anticonformisti».
Il «bambino indaco»
Ma chi è Stefani? Nato a Padova nel 1992, ha una gemella di nome Giulia, infermiera a Verona, a cui è molto affezionato. Raccontano che alle elementari la maestra lo chiamava «bambino indaco», termine che nell’immaginario di qualche decennio fa definiva dei bambini molto dotati, nel suo caso anche iperattivo. E il curriculum tenderebbe a confermare questa teoria. Dopo il diploma al liceo (100/100) si è laureato in giurisprudenza a Padova (110 e lode) e ha dedicato la tesi alla nonna Vittoria, a cui era molto affezionato; ora sta facendo il dottorato, sempre in giurisprudenza. Giocatore di pallavolo quand’era più giovane, appassionato di calcio, ha anche una vena artistica perché nel tempo libero dipinge a olio e tempera, in particolare paesaggi e figure astratte, e si diletta nella scrittura. Ha lontane origini greche e non sorprende spulciando i suoi social, pare essere una vacanza privilegiata durante l’estate.
Da Borgoricco a Roma
Ha iniziato a fare politica nelle giovanili della Lega ed è diventato consigliere di minoranza a Borgoricco nel 2014, a 22 anni. Da lì, una lunga sfilza di incarichi: deputato dal 2018 (riconfermato nel 2022, e quando è a Roma ha una camera in affitto dalle suore francescane), sindaco di Borgoricco nel 2019, commissario regionale del partito nel 2020, segretario regionale dal 2023, presidente della commissione bicamerale sul federalismo, vicesegretario federale di Salvini dal 2024, ora promotore della mozione identitaria che ha sedato – magari temporaneamente, ma l’ha fatto – anche una parte degli animi più bellicosi. Chiamarlo delfino, o «enfant prodige», è diventato un po’ riduttivo.
La corsa alla Regione
Già prima della candidatura ufficiale, c’era chi gli attribuiva già (idealmente e per meriti sul campo) la corsa per la poltrona di presidente del Veneto. Vicinissimo a Salvini, con saldi rapporti romani, dialogo aperto con i segretari dei partiti alleati, Stefani è stato per mesi il nome più gettonato nel Carroccio per spuntare la casella della presidenza della Regione nel delicato risiko delle elezioni prossime a venire. Stefani smorzava, non si lasciava lusingare, anche se qualcuno lo tirava per la giacchetta. E fino al momento dell’investitura, si concentrava sul presente da segretario veneto, «Identità – ha ripetuto la parola spesso durante un comizio la scorsa primavera – è amministrare, la buona gestione delle risorse pubbliche. Identità è politica locale, comunità, difesa dell’ambiente ed ecologismo non ideologico a vantaggio della nostra terra. Identità è difesa dei nostri confini e della nostra storia, la nostra identità non si svende a terze, quarte generazioni di giovani che mettono a rischio la sicurezza cittadini». L’attesa per l’incoronazione pubblica da parte del partito è stata lunga – è arrivata l’8 ottobre scorso – ma Stefani aveva da subito le carte in regola.
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20 novembre 2025
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