
Dall’alto del suo osservatorio sul cinema d’autore, Alberto Barbera parla con la schiettezza di un ufficiale sabaudo. Si sofferma sulle «eccellenze indiscutibili» nelle varie sezioni della Mostra, poi il direttore fa un’analisi cruda dello stato del cinema italiano. Lo aveva già fatto alla presentazione dello scorso anno, sostenendo che «c’è una sovraproduzione italiana dove non sempre la qualità è all’altezza dei numeri». Stavolta l’intemerata è più accesa.
Che bilancio fa?
«Non estremamente favorevole, 140 film del 2024 non sono mai usciti nelle sale».
E la produzione (e coproduzione) è aumentata a dismisura. L’anno scorso 431, con un aumento di 67 film sul 2023.
«È una cosa paradossale. Si produce tantissimo, non necessariamente di qualità. Le piattaforme non sono in grado di assorbire tutti questi titoli, alcuni sono piccoli e con poche capacità di incuriosire il pubblico».
Il tax credit ha creato dal nulla improvvisati produttori truffaldini.
«Il tax credit è un meccanismo in vigore ovunque. Il meccanismo si è inceppato. Il cinema italiano ha bisogno di certezze e tranquillità».
I nuovi registi?
«A malincuore dico che sono mancati i primi film particolarmente significativi. Una nuova generazione di rincalzo non c’è ancora».
E dei film italiani al Lido?
«Abbiamo naturalmente scelto i più coerenti con la linea di una rassegna che, come ha detto nel suo intervento il presidente Buttafuoco, non è un Festival ma una Mostra d’arte. Alla fine si fa il gioco della torre. A noi sono pervenuti in totale 4.500 film da tutto il mondo. Quelli italiani proposti erano 170».
Rinunce dolorose? Si era parlato di Cinque secondi di Virzì.
«Non mi sembra corretto parlare dei titoli che non ci sono, staremmo a discuterne fino a domani. Parliamo di quelli selezionati».
Allora parli dei cinque italiani in gara.
«Quello di Pietro Marcello è un ritratto tutt’altro che banale e accademico su un’icona del teatro non solo italiano come Eleonora Duse. Gianfranco Rosi prosegue nella sua osservazione della realtà, ha realizzato un mosaico capace di restituire identità, in modo filosofico e ironico, di una città come Napoli, nel passato e nel presente e proiettandosi nel futuro. Di Leonardo Di Costanzo mi ha colpito la capacità di riflettere sul tema della giustizia attraverso un caso da manuale, su una ragazza di buona famiglia che ha ucciso brutalmente sua sorella. Franco Maresco, che parte da un film mai realizzato su Carmelo Bene, ha fatto un testamento artistico, si mette a nudo nelle sue ossessioni e limiti, le sue incapacità, la voglia di isolarsi dal mondo, cattivo come sempre per come tratta gli attori ma anche autoironico. Manca qualcuno?».
Il più atteso, Paolo Sorrentino.
«Mi hanno colpito la sua originalità, il suo tornare alle origini, anche stilisticamente, la rinuncia ai formalismi e ai barocchismi. C’è un’asciuttezza, un rigore, una compostezza fatta sui primi piani. La storia è imprevedibile ma non posso dire di più».
23 luglio 2025
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