
È stata fino all’ultimo una «militante della memoria». Era questa l’espressione con cui Vera Vigevani Jarach, madre di Plaza de Mayo, scomparsa a Buenos Aires, si è a lungo definita. L’ha corretta poi negli ultimi anni, usando piuttosto «partigiana della memoria». Perché «prendo parte», spiegava. E in effetti lo ha sempre fatto, andando ancora in piazza, ultranovantenne, con le altre madri dei desaparecidos argentini, alcune delle quali nonne di bambini rubati dalla giunta di Jorge Rafael Videla.
L’unica figlia di Vera, Franca, fu sequestrata il 25 giugno 1976 e meno di un mese dopo, a 18 anni, uccisa, drogata e gettata viva in mare da un «volo della morte». Condivise la sorte di un intera generazione che la dittatura volle cancellare: trentamila desaparecidos, dal 1976 al 1983. Da quel 25 giugno, Vera non si è mai fermata prima per ritrovare la figlia, poi per la memoria, la verità e la giustizia.
Vera era nata a Milano il 5 marzo 1928 in una famiglia ebraica. Per sfuggire alle leggi razziali emigrò in Argentina alla fine degli anni Trenta. Lì sarebbe diventata una giornalista culturale all’Ansa di Buenos Aires, moglie e mamma. In Italia rimase il nonno , Ettore Felice Camerino, che non volle lasciare il suo Paese e finì deportato ad Auschwitz sullo stesso convoglio di Liliana Segre, partito dal Binario 21 della Stazione Centrale di Milano il 30 gennaio del 1944.
Vera raccontò la sua storia nel 2012 in una web serie per il «Corriere della Sera», Il rumore della memoria, diretta da Marco Bechis. Con lei, il regista, l’inviato Antonio Ferrari e l’autrice Caterina Giargia, trascorremmo insieme molti giorni. Nella casa di Buenos Aires, ci accolse nella cameretta di Franca, che era diventata il suo studio, tirò fuori le pagelle, le fotografie, i ricordi di una mamma orgogliosa. «Lavoro qui, e mi sento molto ben accompagnata», diceva, mentre alla parete guardavamo il grande alfabeto che lei e il marito Giorgio Jarach avevano disegnato per quella bambina così sveglia e piena di promesse. Poi raggiungemmo l’Italia, i luoghi di Vera bambina, il confine con la Svizzera dove fu arrestato Ettore Felice Camerino. Infine Auschwitz, ultimo omaggio a quel nonno amatissimo e teneramente ricordato per il quale, così come per Franca, non c’è tomba.
La morte di Vera è stata salutata con un messaggio di Taty Almeida, presidente dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo: «Cara Vera, compagna intelligente, colta, allegra molte volte e in silenzio altre perché nella tua anima si annidava una domanda che non sarebbe mai dovuta esistere: perché? Vera, sorella, sei parte di noi e rimarrai in ogni passo e nei passi di coloro che seguiranno. Il sorriso di Franca continuerà ad essere la bandiera di molti giovani. Ti vogliamo bene».
Vera era dolce e tenace allo stesso tempo, idealista non solo a parole — girava sempre con un sacchetto di monetine per darle ai poveri, «Non si deve mai dire no a chi tende la mano», spiegava. Ha speso la sua vita da «partigiana». Sta a noi ora ricordare e prendere parte, senza voltarci dall’altra parte.
3 ottobre 2025 (modifica il 3 ottobre 2025 | 17:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
3 ottobre 2025 (modifica il 3 ottobre 2025 | 17:25)
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