
Un predestinato. Si sprecano gli appellativi di questo genere su Antonio Decaro, candidato presidente del campo largo. Un percorso a tappe: assessore, deputato, sindaco di Bari, presidente dell’Anci, in piena era-Renzi, consigliere regionale per una breve stagione, eurodeputato eletto a valanga, con oltre mezzo milione di voti, presidente della commissione all’ambiente dell’Unione europea, dove, si dice, abbia costruito uno stretto rapporto con Raffaele Fitto, vicepresidente della Commissione. Sposato con Katia, ha due figlie, Giorgia e Chiara. Giorgia la più grande, in un’intervista ricordava di avere scritto a 14 anni un compito in classe, quando il papà diventò sindaco: «Mio padre è diventato il padre di tutti, di questo sono fiera».
Una vita politica, quella di Decaro, in costante ascesa. Tant’è che più di qualcuno pensa che potrebbe essere l’anti-Elly, che il fronte dei riformisti del Pd, che oggi si sente “accerchiato”, potrebbe opporre alla Schlein nel prossimo congresso nazionale. Ma quella è (o sarà) un’altra partita. Oggi Decaro ha un altro compito: portare in porto un vascello, quello del centrosinistra, che appare destinato ad approdare a vele spiegate verso la linea finale. Una sorta di American Cup in salsa pugliese.
Di tradizione socialista (il padre è stato consigliere comunale di Bari), ingegnere, un profilo di amministratore, Decaro ha lasciato il segno nel governo della città. Bari, in dieci anni, nonostante problemi tipici delle grandi città, a partire dalla difficile saldatura tra centro e periferia, ha cambiato volto, ed oggi è una capitale del turismo nazionale. Certo, il fenomeno della “turistificazione” è tipico delle città contemporanee: da Bari vecchia, all’Umbertino, la convivenza tra esigenze diverse è di difficile risoluzione. Ma in passato Bari era una città di passaggio; ora è meta privilegiata di grandi flussi turistici.
Non è stata semplice la gestione dell’epoca del Covid, con Decaro nelle sembianze di sindaco-sceriffo che invitava i cittadini a rispettare le regole allora in vigore. Con decisione e mitezza che hanno contribuito a rinsaldare un rapporto con la cittadinanza. Così come, tra non poche sofferenze, ha gestito la difficile stagione di alcune inchieste sulle municipalizzate che avevano allungato l’ombra sulla città. Le sue passeggiate nel cuore delle città pugliesi sono correlate da cittadini che lo assediano, chiedono di fare un selfie.
Ma sarebbe fuorviante e riduttivo ridurre il ritratto di Decaro alla stregua di un “santino”. Buon amministratore, affermano persino i critici, ma con la tendenza a non gettarsi nella mischia dell’agone politico, ad evitare le risse, a non schierarsi. Così da presidente dell’Anci, Matteo Renzi auspicava che utilizzasse lo status come contraltare al potere di Emiliano. Allo stesso tempo, in piena tempesta per l’autonomia differenziata, come rappresentante di tutti i sindaci italiani, preferiva non aizzare le polemiche. Un senso di responsabilità che altri hanno interpretato come la tendenza a tenersi alla larga dallo scontro.
Fino alla fatica primavera del 2024, quando il rapporto con il “padrino” politico Michele Emiliano inizia ad incrinarsi. Al governatore in una mega-manifestazione scappa un vecchio ricordo che indispettì (un eufemismo) Decaro: «Andammo a casa della sorella del boss e le dissi: questo ingegnere, assessore mio, deve lavorare per la Ztl di Bari vecchia, perché c’è il pericolo che i bambini siano investiti dalle auto: te lo affido». Decaro smentisce, dice che Emiliano ricorda male. E’ l’inizio dello “scisma”.
E da lì che inizia una sorta di parricidio, che conduce all’estate calda del 2025 in cui Decaro mette sulla bilancia il grande strappo: “o io o loro”.
Loro erano Michele Emiliano e Nichi Vendola, dei quali Decaro non gradiva la presenza in Aula da consigliere. La partita contro Emiliano la vince, quella contro Vendola no, poiché lo schiaffo contro il leader nazionale di Avs avrebbe creato problemi per l’alleanza nazionale.
E così che nasce il nuovo volto di Decaro “decisionista”: stop ad Emiliano, ad alcuni candidati di peso incappati in qualche indagine, una “pulizia” nei confronti del vecchio civismo senza barriere che aveva portato una parte della classe dirigente della destra ad approdare al “modello Emiliano”. Civismo “allargato”, fenomeni di trasformismo esasperato (lo sliding doors, le porte girevoli) di personale politico lungo l’asse destra-sinistra e poi viceversa.
Così Decaro pone le premesse per passare dal “modello-Emiliano” al “metodo Decaro”. La stessa campagna elettorale è un mix di messaggi e spettacolo, di programmi e emotività. Dallo spot con i pugliesi invitati a scrivere una canzone a quello del candidato-tassista che indica la strada invitando il cittadino-astenuto a non lasciarsi pilotare da altri. Dai tentativi di karaoke alla bicchierata di birra con la segretaria nazionale fino al colpo di genio dell’abbraccio con Emiliano, alla vigilia del voto, inteso a sancire una pacificazione che dovrà manifestarsi concretamente nei prossimi mesi.
La sua mission – afferma – è stare vicino alla gente. Anzi «Vicino – Fare politica insieme alle persone» è il libro che Decaro ha pubblicato pochi mesi fa in cui racconta la sua avventura in politica e le tante esperienze che ne hanno segnato il cammino: «Ecco la parola che da più di vent’anni fa da filo conduttore a tutto quello che faccio, penso, progetto: vicino».
Sì, c’è del metodo nel nuovo Decaro. Se ci sarà in futuro una terza stagione politica – quella da leader nazionale – è una pagina bianca tutta da scrivere.
Ora, Lobuono permettendo, si profila la sfida del governo della Regione, tra continuità e rottura. E’ il destino dei discepoli: andare “oltre”.
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20 novembre 2025
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