
Marco Lavazza, affrontiamo subito la questione: le Atp Finals devono rimanere a Torino?
«Siamo un Paese meraviglioso. Che si dà regole a priori e a posteriori. Detto ciò, a noi interessa avere chiarezza su cosa fare. Dopodiché noi non abbiamo mai fatto mancare il sostegno al mondo del tennis da 15 anni a questa parte. Vogliamo continuare, e le Atp devono restare a Torino. A meno che…»
A meno che?
«Altri non costruiscano uno stadio che sia il doppio del nostro. Ma al momento questa cosa non la vedo».
Nessuna alternanza con Milano?
«Francamente, no. Chi lascia la strada vecchia per quella nuova si avventura in un percorso incerto. Torino le Atp Finals le ha organizzate bene. Sono cresciute nel tempo con l’impegno della Fit (Federazione italiana tennis, ndr) e noi partners».
Eppure c’è chi le spinge verso Milano.
«Siamo in Italia, la polemica piace. Milano dovrebbe partire da zero, per questo cambiare in corsa e ricominciare daccapo non mi sembra saggio».
Diceva che l’organizzazione in questi anni è cresciuta. Come?
«Il Comune, gli sponsor hanno dato il loro contributo. Per noi, aggiungo, Torino è casa».
Sta dicendo che se le Atp migreranno altrove vi disimpegnerete?
«Dipende dalle condizioni».
La politica sta dicendo la sua. Un appello bipartisan per lasciare le Finals a Torino senza che il governo interferisca in modo particolare con la società Sport e Salute.
«Guardi, se lei va in banca chiedono covenant precise. Come si dice, a pensar male… Noi siamo protagonisti di un processo gestito in modo trasparente al di fuori di motivazioni personali. Il resto mi sembra più uno scontro tra caratteri».
Un anno fa lei parlando di Torino la definiva città underdog, che quando la scopri la trovi migliore di quanto la immagini. È una fase superata? Possiamo dire che non è più tempo di parlare di una città che ha bisogno di riscattarsi?
«Il riscatto della città è compiuto in parte. Resta una bella città da scoprire. Ma siamo cresciuti in termini di allineamento tra le aspettative e quello che trovi. A Torino le promesse sono mantenute, pur conservando una certa sobrietà».
Non c’è rischio di overtourism?
«No. Quello è un problema che non abbiamo, anche se mi lasci dire che è un dolce problema. La città beneficia inoltre anche di un clima politico stabile».
La concordia tra Regione e Comune?
«È una caratteristica che anche in regioni vicine non ho visto. Una caratteristica sabauda molto importante. Si dice con chiarezza cosa si vuole e cosa no, mi auguro che anche altrove si usi lo stesso metro e che non si finisca in giochi politici che nulla hanno a che vedere con le Atp Finals».
Evento migliorabile, come forse anche un po’ la città? Lei ha immaginato più volte ristoranti con terrazza sul Po...
«E mi pare che nel nuovo Piano regolatore ci stiano pensando».
Eppure non tutta la città sembra gradire la politica dei grandi eventi.
«Torino è una città riservata, un evento di portata mondiale come le Atp Finals è uno choc. Ma molte cose sono migliorate».
A partire da?
«L’orario dei ristoranti che sono rimasti aperti anche dopo la sessione serale delle partite. Un cambio di testa c’è stato in termini di flessibilità e questo è un dato importante».
Su cosa lavorare per migliorare ancora?
«Non si smette mai di imparare. Le Atp sono anche un primo passo verso la ricerca di altri eventi da portare a Torino e in Piemonte».
Scusi, ma da più parti si sostiene che gli eventi non pagano gli stipendi. Gli stipendi si dice li paghi l’industria.
«Lo capisco e da industriale sono d’accordo. Ma qui non stiamo dicendo che gli eventi salvano la patria. Piuttosto contribuiscono ad una nuova percezione del territorio, parlano di trasformazione. Non possiamo e non dobbiamo abbandonare l’industria pesante, ma abbiamo bisogno di una narrazione diversa. Cito Marco Boglione: cosa è Torino oltre la Fiat, non senza la Fiat».
E cos’è?
«Una città che investe sugli eventi, accogliente, non grigia, colorata. Certo non è Napoli ma…».
«Il sabaudo vede sempre il bicchiere mezzo vuoto. Comincia da lì per dire che il resto non è poi così tanto male. Cerca la perfezione, anche se la perfezione non esiste».
Per avvicinarla su quali settori puntare?
«L’aerospazio ed altri comparti giocano un ruolo decisivo. Anche se molte decisioni vengono prese sopra le nostre teste. A Bruxelles e non a Roma, per esempio. Come è successo per l’automobile. Quando ho iniziato a lavorare c’era la Fiat. Poi è arrivato anche il food, insomma si può diversificare».
Torniamo alle Atp. Il centro cittadino è rimasto poco coinvolto. Condivide?
«Torino città del tennis ha tutto a poca distanza. In altre città l’evento non si vede. Pensi a Londra o a New York. Solo Melbourne è un po’ paragonabile a noi come distanza tra evento e centro».
Nella settimana appena passata lei ha parlato con i tennisti. Che immagine di Torino le hanno restituito?
«Tutti contenti e soddisfatti. Hanno potuto andare in giro tranquillamente. Ripenso al selfie che Alcaraz si è fatto in piazza San Carlo. Una tranquillità che qui trovano anche i calciatori».
Le strutture per Atp e non solo. Vale la pena costruire qui altri alberghi?
«Secondo me sì. Bene che la città si trasformi. L’albergo a Porta Susa è bloccato. Può capitare, ma averne in quantità ci aiuta a migliorare l’accoglienza. Per questo vanno superate anche alcune rigidità del Comune».
Che sta riscrivendo il Prg. Su cosa puntare di più?
«Sul fiume. Non smetterei di investire lì. E poi con il lavoro flessibile, la città va ripensata. Così come bisogna guardare anche all’auto elettrica con più garage».
Un altro tema molto sentito è la città universitaria. Troppe case vuote e studenti che non trovano alloggi.
«Qui è importante che si trovino modi per tutelare proprietari e inquilini».
Fondi di garanzia per i proprietari come si sta tentando di fare?
«Ottima idea. Qui abbiamo anche due tra le fondazioni più importanti d’Italia».
Studenti e università. Binomio vincente?
«Università e Politecnico sono entrambe istituzioni pubbliche, potrebbero dialogare di più tra loro pur nell’ambito della reciproca autonomia. Così come io sono sostenitore del rapporto tra pubblico e privato. L’unico modello che realisticamente funziona».
In tema di eventi. All’università aumentano le iscrizioni a corsi che si occupano di turismo. Un segnale?
«Una moda».
Solo una moda?
«Abbiamo bisogno di tecnici qualificati in tutti i settori. Gli Its sono fondamentali. Quando la rettrice Prandi ha illustrato il “piano butterfly” (una città delle Scienze e dell’Ambiente a supporto di attività di Ricerca e Sviluppo che ospita imprese, enti di ricerca e istituzioni, ndr) ci abbiamo investito dal primo momento. A noi interessa moltissimo. Anche questo è nel solco dell’allineamento tra industria e saperi».
E i torinesi fanno abbastanza per Torino? Il cardinale Repole ha detto: Torino hai troppi soldi in banca.
«Non la penso come lui. Non possiamo sapere quanto capitale privato viene investito in città. Certo, se vedi una prospettiva, l’investimento è più facile».
Un esempio?
«La Consulta per i Beni artistici. Lo schema pubblico-privato funziona anche lì».
Lei parla spesso di responsabilità diffuse per la città.
«L’ho detto anche a Marco Gay (presidente degli industriali, ndr) quando si è insediato. Abbiamo un allineamento favorevole di pianeti e tante buone intenzioni. Remiamo tutti nella stessa direzione».
Ultima domanda: quest’anno quanti caffè avete fatto alle Atp?
«205 mila, il 58 per cento in più dell’anno scorso».
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20 novembre 2025
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