
Caro Direttore,
ho letto con grande interesse l’intervento del prof. Ernesto Galli della Loggia, Un Paese che scorda la lettura. È un contributo che ha il merito di mettere in evidenza un dato di realtà di cui noi addetti ai lavori siamo pienamente consapevoli e che da anni cerchiamo, con fatica, di far comprendere non solo ai decisori politici, ma soprattutto ai nostri concittadini.
Da tempo all’interno del mondo del libro discutiamo di questi temi e, proprio perché conosciamo bene le difficoltà e le sfide che abbiamo di fronte, abbiamo imparato a muoverci non più in ordine sparso ma come filiera unita. È grazie a questo lavoro comune, lungo e faticoso, che siamo riusciti a ottenere dal Parlamento — con un voto unanime, evento raro — l’approvazione della Legge per la promozione del libro e della lettura, nella quale viene individuata una strategia nazionale che riconosce in librerie e biblioteche le due infrastrutture fondamentali per diffondere il libro e la lettura; a questa si affiancano strumenti preziosi come la Capitale italiana del libro, i patti locali per la lettura e il tax credit librerie.
Certo, tutto questo non è ancora sufficiente a invertire una rotta che l’Italia ha imboccato anni fa, quando si è esclusa la lettura dai programmi scolastici, quando si è pensato che il libro fosse un prodotto come un altro — da promuovere con sconti invece che con la valorizzazione dei suoi contenuti — o quando si è creduto che si potesse fare a meno della mediazione di personale preparato, come i librai. A ciò si è aggiunta la convinzione che per lo studio fossero sufficienti le risorse digitali, senza considerare le ricadute negative che ciò avrebbe comportato sulla capacità di leggere, comprendere e riflettere.
Il lavoro da fare è ancora molto, ma ciò che oggi manca più di tutto è l’attenzione pubblica al tema. A questo proposito, mi permetto di richiamare un altro dato — che il prof. Galli non ha citato — e che rende ancora più urgente un’azione decisa: circa un quarto della popolazione attiva, secondo i dati Istat, non accede ad alcuna forma di consumo culturale, non solo ai libri, ma nemmeno a spettacoli, musica, teatro o eventi sportivi. È un dato drammatico, perché significa che un quarto dei nostri connazionali è escluso dagli strumenti necessari per acquisire le competenze utili a partecipare al cambiamento in corso.
Come Associazione Librai Italiani, da oltre vent’anni sosteniamo che occorre riconoscere il valore collettivo dell’investimento culturale: ciò che ciascuno di noi spende in cultura ha ricadute positive per l’intera comunità. Una società di cittadini consapevoli, dotati delle competenze necessarie, è un bene per tutti — sul piano civile, sociale e anche economico. Per questo proponiamo da tempo che venga introdotta una detrazione fiscale per i consumi culturali, a partire dalle spese per la formazione e dei libri di testo in particolare.
Certo, servono risorse e investimenti, ma — come sempre accade — quando il dibattito pubblico riconosce il valore di un obiettivo, le risorse, pur con fatica, si trovano.
*Paolo Ambrosini è presidente di Ali, Associazione librai italiani – Confcommercio Imprese per l’Italia.
14 novembre 2025 (modifica il 14 novembre 2025 | 11:29)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
14 novembre 2025 (modifica il 14 novembre 2025 | 11:29)
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