«Volete farmi vivere in città come Milano pretendendo che anche io, come voi, mi adegui a quei ritmi forsennati, al rumore, al traffico, alla folla. Alle persone sconosciute che si chinano su di me e mi mettono le mani sulla testa, sui fianchi, sotto il collo, magari pure con il permesso di chi sta dall’altra parte del guinzaglio. Una città con pochi prati e tanti marciapiedi, su cui si muovono non solo gambe e zampe ma anche biciclette e monopattini che sfrecciano facendomi il pelo – e io lo posso letteralmente dire -, carrelli e perfino automobili e furgoni a cui il marciaauto evidentemente non basta. Una città che manda fuori di testa. E infatti voi andate dallo psicologo. Ma io? Io cosa posso fare? Io subisco. Trattengo. Sopporto. Poi un giorno magari abbaio un po’ di più, magari ringhio, magari finisce anche che ci scappi un morso. E alla fine il cattivo divento io».
Premessa: le parole dell’incipit sono una nostra libera interpretazione del canin pensiero, dopo la lettura di Parola di cane. E ci perdoneranno le «traduttrici ufficiali», l’educatrice cinofila Sara De Cristofaro e la blogger e divulgatrice Lauretana Satta, che quel libro lo hanno scritto per Baldini e Castoldi, se abbiamo provato a rubare un po’ del loro di mestiere. Loro che ancora una volta, dopo Senti chi abbaia (De Vecchi, 2021), hanno voluto fare parlare il Cane-di casa affinché ci dicesse chiaramente cosa pensa di noi. Dandogli modo di suggerirci come vivere al meglio un rapporto che, come in tutte le storie d’amore, può essere un paradiso oppure un inferno. Il confine è labile e non è detto che ci sia un purgatorio di cui accontentarsi. Così ci prova lui, Cane-di-casa, a svelarci «i segreti della straordinaria relazione umano-canina».
Bisogna partire da due considerazioni: la prima è che il cane è un individuo dotato di personalità. E così come non tutte le persone sono uguali, non lo sono neppure i quattrozampe: due barboncini condividono aspetto e motivazioni di razza e possono anche essere nati nello stesso allevamento e dagli stessi genitori. Ma ad un certo punto diventano individui, diversi, plasmati dalle relazioni e dal contesto in cui vivono. La seconda riguarda il concetto di adozione responsabile, soppiantato quasi sempre dal desiderio («Ma che carino questo bel musetto: lo voglio»), dalla compassione («Poveretto, vive in rifugio: lo adotto») o dalla supponenza («Se cresco mio figlio, saprò bene gestire un cane: prendo un pitbull»). Raramente le persone si informano prima, magari consultando anche un esperto, per avere un’idea di cosa quella vita insieme comporterà.
«In 22 anni di attività professionale – ammette sconsolata De Cristofaro – mi è capitato soltanto tre volte, a fronte d centinaia di casi che ho seguito quando il danno era ormai fatto». Lei è specializzata nella gestione di cani con disturbi comportamentali ed è spesso l’ultima speranza per chi ad un certo punto si rende conto di non riuscire a gestire il proprio animale. «Tutti i problemi – dice ancora l’educatrice cinofila – nascono da un prima che è mancato, la consapevolezza, e da un dopo che è stato disastroso, ovvero scelte e comportamenti sbagliati che fanno esplodere l’animale.
E allora torniamo da lui, Cane-di-casa che vive a Milano (ma vale per qualunque grande città), e al suo punto di vista. Ci spiega per esempio che preferisce le donne agli uomini, i quali sono più grandi, più massicci e incutono più timore, hanno voci profonde e esprimono minore empatia, anche quando non è vero. «Ma se si tratta di giocare, i maschietti non hanno rivali». L’attività ludica è importante, anche con i propri simili, ma sempre a patto di capire che ogni individuo è diverso dall’altro. Se nell’area cani il vostro corre come un forsennato, inseguito da un altro, non è scontato che si stia divertendo e che voi abbiate esaurito il vostro compito. «Molto spesso quella frenesia è paura. Ma chi ve lo ha detto che sia sempre bello farsi rincorrere e sottomettere e non potere smettere perché poi magari ci scappa pure una lite e qualcuno finisce col farsi male?». Può anche essere gioia, certo, ma sta al cane a deciderlo, non al proprietario che liberandolo lo fa scendere nell’arena e poi, una vola chiuso il cancelletto, inizia a far conversazione con altri o passa il tempo con gli occhi sul telefono, lasciando che il suo amichetto se la veda da solo.
A volte poi i «padroni» si stupiscono del fatto che il loro cane non risponda al richiamo. Ma se a questo segue sempre qualcosa di negativo – «Mi rimetti il guinzaglio e mi riporti subito a casa; mi sgridi per qualcosa che ho fatto qualche minuto prima ma che per me è come se fosse passata un’era; mi trascini dove vuoi tu ma dove non piace a me» – non c’è da esserne sorpresi. Il richiamo va invece sempre associato a qualcosa di piacevole. Oltretutto è utile attirare sempre l’attenzione del cane pronunciando il suo nome prima di chiedergli qualunque altra cosa: è il segno che ci si sta rivolgendo proprio a lui. Un generico «vieni» è solo un insieme di suoni tra i tanti della città per chi ci sente benissimo ma non ha il dono della comprensione semantica. Anche il «no», che per noi ha un significato univoco, per il cane non sempre lo ha: «E come potrebbe se una volta me lo dici con voce arrabbiata e la volta dopo ridendo e per te sono la stessa cosa mentre per me che percepisco le emozioni sono due sentimenti opposti?».
Ma la verità principale Cane-di-casa la svela solo alla fine, un po’ per non metterci troppo violentemente davanti alla realtà e un po’ perché nelle 350 pagine precedenti fa di tutto per trasmetterci i suoi bisogni e i suoi desideri: «Io non sono per tutti». Cane-di-casa non è per chi ha poco tempo, per chi pensa che la passeggiata sia solo un modo per «sporcare fuori», per chi resta lontano tante ore e decide di affidarlo a qualche estraneo in posti che si chiamano «asili per cani» e sono spuntati come funghi nelle grandi città, o che, peggio, sceglie di lasciarlo solo nell’appartamento per 12 ore esattamente come soli restano mobili e suppellettili («Alla faccia della relazione!»). Non è per chi non considera che un cane è come un figlio, ha delle esigenze e anche un costo di mantenimento che incide sui bilanci famigliari. Sembra impossibile anche allo stesso Cane-di-casa, ma molti proprietari si accorgono solo dopo che avere un animale è prendersi cura di un essere senziente, una responsabilità che non conosce domeniche, vacanze estive o feste comandate.
«Però sono sicuramente per qualcuno» mette le zampe avanti Cane-di-casa, che ci tiene a non passare per un pretenzioso bisbetico indomato. «Sono per chi mi tratta alla pari, mi accetta per chi sono, si prende cura di me come di un altro membro della famiglia, mi fa partecipare alla sua vita e partecipa alla mia, pensa che sia bello andare in vacanza insieme, non mi lascia solo quando ho paura, mi cammina a fianco quando sono anziano e lento, svolge con competenza e amore il suo importantissimo ruolo di genitore. E mi tiene la zampa quando mi addormento per sempre».

13 novembre 2025 ( modifica il 13 novembre 2025 | 14:31)
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