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Come si cura e si previene l’emicrania oggi

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È comune pensare che l’emicrania, a causa del suo nome, sia semplicemente un mal di testa che interessa solo «metà del capo». La realtà è ben diversa e più complessa. L’emicrania non è un comune mal di testa, e può causare un dolore pulsante molto forte, tanto da costringere a interrompere ogni attività e a riorganizzare la propria vita anche per giorni interi. Si tratta di un problema che interessa in Italia circa 6 milioni di persone, soprattutto donne tra i 15 e i 49 anni. Il suo impatto sociale ed economico è notevolissimo: si stima comporti un costo complessivo di 20 miliardi di euro l’anno legato soprattutto alla perdita di produttività. Eppure, arrivare a una diagnosi non è semplice: servono in media più di 5 anni dall’esordio dei sintomi, ma in molti casi l’attesa può allungarsi fino a 7-8 anni. 

L’emicrania, fra l’altro, può cambiare forma e impatto nel tempo. Gli attacchi si presentano in diverse fasi, quella prodromica può manifestarsi da 2 a 48 ore prima del dolore vero e proprio. Ogni anno il 2,5-3 percento dei pazienti con emicrania episodica evolve verso la forma cronica, il che in molti casi si traduce in un’interruzione di ogni attività anche per diverse settimane, con chiusura in casa, al buio, evitando per quanto possibile rumori e persino odori, che possono peggiorare i sintomi.

 La sua gestione richiedere approcci distinti: quello acuto, per gli episodi meno frequenti, e quello preventivo, nei casi ad alta frequenza o cronici, quando il dolore è presente per almeno 15 giorni al mese. Un intervento tempestivo è fondamentale per ridurre il rischio di cronicizzazione, spesso aggravata dal cospicuo ricorso a farmaci sintomatici. 

Strategie integrate, che uniscano terapie farmacologiche e non farmacologiche con modifiche dello stile di vita, possono ridurre notevolmente il portato della patologia e migliorare sensibilmente la qualità della vita. Nonostante questo l’emicrania continua a essere sottodiagnosticata, talvolta banalizzata. Ciò accade anche perché chi ne soffre spesso «fa fatica» a raccontarla, perché si tratta di una condizione che non dà sintomi esterni, visibili. I pazienti spesso non hanno il coraggio di raccontare la malattia e ciò è ancora più vero per gli uomini per i quali è considerato una sorta di stigma. 

Oggi più di prima però vale la pena cercare di parlarne per ottenere un inquadramento adeguato perché l’evoluzione delle terapie consente in controllo sempre migliore del problema , sia in chiave di intervento nei confronti dell’attacco acuto sia in chiave preventiva. Dell’argomento si parlerà a Il Tempo della Salute insieme Piero Barbanti, ordinario di Neurologia all’Università San Raffaele di Roma e direttore dell’Unità Cefalee e Dolore dell’Irccs San Raffaele di Roma e ad Alessandra Sorrentino, presidente Associazione Alleanza Cafalalgici (Al.Ce).

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5 novembre 2025

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