Home / Economia / «Secondo l’Università di Torino produciamo chip per il settore militare. Non è vero, così ci fate chiudere». A Borgaro la rabbia degli operai della Vishay

«Secondo l’Università di Torino produciamo chip per il settore militare. Non è vero, così ci fate chiudere». A Borgaro la rabbia degli operai della Vishay

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«Il nostro lavoro è sotto esame? Pazzesco. Con tutta la crisi che c’è nell’indotto auto, vogliamo davvero mettere a rischio un’impresa con 280 operai?». Antonello Tamburro, 49 anni, 26 spesi in linea produttiva e da due in magazzino alla Vishay di Borgaro Torinese, è una «tuta bianca». Lui e i suoi colleghi assemblano chip, quei mattoncini della filiera elettronica che fanno funzionare auto, elettrodomestici, smartphone, navi, Tv e aerei. E Vishay, azienda Usa, è una delle poche che produce in Italia, a ciclo continuo, sette giorni su sette, i chip per i grandi carmaker. «Scopro dal giornale che per l’Università produciamo chip per il settore militare. Non è così. Almeno per quanto riguarda Borgaro. Il nostro campo è l’auto», spiega il lavoratore che è anche delegato Uilm.
 
Vishay Semiconductor è una multinazionale americana fondata nel 1963 in Pennsylvania da Felix Zandman, uno scienziato polacco sopravvissuto all’Olocausto ed emigrato negli Usa in cerca di fortuna. E la fortuna si è tradotta nel nuovo oro: i microchip applicati in tutte le industrie. «Non so cosa siano i chip dual use finiti nel mirino dell’Università, non conosco chip con la pistola. Ma so che l’azienda ha investito negli anni in ricerca e sviluppo». E gli accordi con Unito e Politecnico sono preziosi. «Non vorremmo che questa campagna possa portare l’azienda a ridurre il suo impegno o a chiudere i battenti», spiega Tamburro. La società non commenta la mossa dell’Università di Torino. Anche perché buona parte della ricerca, in crescita, si concentrerà al Politecnico. 

Anche Rocco Cutrì, segretario della Fim Cisl si dice perplesso: «Questo è un settore strategico per l’Europa, nel quale fatichiamo a smarcarci dal dominio asiatico. Bene fare le verifiche del caso, ma bisogna avere la cura necessaria di non mettere in discussione interi settori industriali». 

Ugo Bolognesi, della Fiom, concorda sul fatto che «il lavoro non si tocca», ma bisogna anche chiedere conto all’azienda se quei chip vanno davvero solo sulle auto.

5 novembre 2025

5 novembre 2025

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