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Btp e titoli di Stato americani, dove investire «a breve» per ridurre il rischio dollaro sull’onda Fed

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Con i dollari «brevi»si raggiunge ancora la vetta del 4%. Ma il rischio di cambio è in agguato. Restando a casa, in Europa, con impegni che non superano il 2028, si porta a casa tra il 2 e il 3%.
La volata di fine anno per definire il valore dei tassi di riferimento negli Stati Uniti e in Eurozona forse verrà vinta dalla Banca centrale Usa. Restia a tagliare nel corso di questi ultimi anni, la Federal Reserve ha forse messo in cantiere almeno due riduzioni entro il 2025 . Una delle quali già decisa. A fronte di una Bce statica, e, forse, tentata di chiudere l’anno con il tasso di riferimento al 2%. Una strategia da leggere alla luce delle incertezza sul futuro dell’economia di Eurozona. Se non ora, nell’ultima riunione di dicembre, dopo le nuove proiezioni sull’ipotetico andamento economico sia in area euro, sia a stelle e strisce, nel corso del prossimo anno.

I dazi

Definire o stimare adesso ciò che potrà accadere nel 2026 — anno in cui la vicenda dazi dovrebbe trovare una fase di normalizzazione mentre in Eurozona la situazione economica resterà in divenire — sembrerebbe prematuro. Al tempo stesso, a due mesi dalla fine del 2025 è opportuno inquadrare un passato in chiaroscuro, e un futuro prossimo probabilmente foriero di mutamenti anche di carattere politico che non potranno non avere riflessi in campo economico finanziario.

Lo scenario

La programmazione delle banche centrali non è sempre tanto rigida come è stato invece il braccio di ferro tra il presidente degli Stati Uniti e il presidente della Federal Reserve. Non vi sono dubbi che ambedue potessero essere dalla parte giusta, ma è forse mancata la volontà di giungere ad un accordo. Ora il tasso di Washington è fissato in una forbice che va dal 3,75% al 4%. Di gran lunga superiore, al momento, rispetto al valore fissato dalla Banca centrale europea fermo da un po’ di mesi al 2,15%. La propensione ai consumi d’oltre Atlantico è molto più attiva rispetto a quella di Eurozona, peraltro in aumento negli ultimi anni. Non è da escludere che, se la Federal Reserve avesse deciso di ridurre il costo del denaro, quest’ultimo sarebbe sensibilmente sceso, com’è naturale, ma avrebbe potuto «esplodere» il costo della vita, costringendo la banca centrale a rivedere la sua strategia.

Le decisioni

Al di là di ciò che ha caratterizzato le decisioni di Jerome Powell e della sua squadra, è interessante valutare come gestire gli investimenti in titoli governativi, contrapponendo le due sponde dell’Oceano, perché, al momento, rappresentano due poli determinanti per la politica economica del globo. Non v’è dubbio che l’offerta di emissioni obbligazionarie di Eurozona è molto variegata, grazie alla presenza di un maggior numero di emittenti governativi. In virtù del grado di affidabilità assegnato ad ognuno di essi, il valore del rendimento offerto muta. Negli Stati Uniti è l’emittente governativo ad attrarre maggiormente gli investitori interni ed internazionali. Anche se chi investe nei mercati finanziari Usa sceglie in misura maggiore il comparto azionario. Senza, peraltro, trascurare le emissioni governative, i T-Bond. Nella tabella una serie di emissioni, un po’ americane e un po’ europee, che al massimo scadono nel 2028 e che offrono rendimenti compresi tra il 2% del bonos a un anno e il 4,25% del T bond che scade all’inizio del 2026.

Il gioco dei prezzi

In prospettiva, agli ipotetici cali del tasso di riferimento Usa dovrebbe corrispondere un incremento delle quotazioni dei T-Bond. L’utilizzo del condizionale è d’obbligo, come quasi sempre in ambito finanziario, peraltro.
Ma c’è di più: il rapporto di cambio tra dollaro Usa e la moneta unica europea, l’euro. È sufficiente osservare l’evoluzione del rapporto tra le due monete negli ultimi mesi, per valutarne l’importanza.
Al 2 gennaio scorso per acquistare un euro occorrevano 1,03 dollari Usa, mentre ora ne occorrono 1,16. La svalutazione della moneta americana è rilevante.

La propensione al rischio

Che insegnamento trarre? I mercati finanziari, generalmente, non vivono di un unico percorso. Ne consegue che nulla vieta che un’inversione di tendenza possa manifestarsi nel corso dei prossimi mesi.
Al tempo stesso, è consigliabile valutare quale sia la personale propensione al rischio, prima di decidere che strategia operativa scegliere. L’inserimento in portafoglio di strumenti denominati in valute non euro, di conseguenza, potrebbe offrire, in prospettiva, buoni risultati, ma va attentamente scelto e seguito. Se la propensione al rischio si attesta ad un livello medio, la quota in moneta non euro potrebbe attestarsi al 5-7% dell’investimento, per salire a valori via via crescenti, per chi ama l’assunzione del rischio e segue con molta attenzione l’evoluzione del mercato valutario.

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