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Mario Conte, il sindaco di Treviso festeggia l’anniversario di nozze alla maratona di New York: «Mi sono allenato correndo in città»

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Mario Conte, 46 anni, sindaco di Treviso e presidente di Anci Veneto, da domenica 2 novembre ha aggiunto una nuova voce al curriculum: maratoneta. Il suo nome compare tra i 59.129 runner provenienti da tutto il mondo che hanno tagliato il traguardo della New York City Marathon, vinta dal keniota Benson Kipruto in 2 ore e 8 minuti. Lui, invece, ci ha messo 5 ore, 29 minuti e 16 secondi. Ma non importa: «L’obiettivo era arrivare, godermela tutta e correre con mia moglie Elisa, con cui ho condiviso questa avventura» racconta, ancora con l’adrenalina addosso.

Sindaco, cominciamo dalla fine: come stanno le gambe?
«Pensavo peggio! Ovviamente affaticate, ma felici. È un dolore buono, quello che senti quando hai fatto qualcosa di grande. Abbiamo continuato a girare anche il giorno dopo con la medaglia al collo e tutti ci fanno i complimenti. A New York la corsa è una festa di popolo».

Come sono stati questi 42 chilometri e 195 metri?
«Un viaggio vero, attraverso i distretti di New York. Ogni quartiere ha un’anima diversa: Brooklyn, Bronx, Manhattan. Ovunque c’era musica, tifo, gente che ti incitava anche se non ti conosceva. È una festa di città, un’onda di energia che ti porta fino al traguardo».

Treviso 86 mila abitanti, New York quasi dieci milioni. Farebbe a cambio?
«Ovviamente no, Treviso è la città che amo. Ma non posso nascondere che New York ha un fascino pazzesco, è un mosaico di umanità e culture. Comunque avevo una maglietta che invitava la gente a visitarci (ha corso con la scritta “Come to Treviso”, ndr). Una famiglia newyorkese di origine trevigiana mi ha riconosciuto per strada. Avevano letto che avrei partecipato alla maratona e avevano preparato un cartello, “Go Treviso!”. Mi sono commosso».

Veniamo alla nota dolente. Ha chiuso in 5 ore e mezza: più turista o atleta?
«Diciamo che fare il turista camminando per 15 chilometri il giorno prima non è stata un’idea brillante (ride). Fino a metà ho retto, poi le gambe hanno iniziato a chiedere pietà. Ma l’importante è arrivare in fondo».

Più dura la vita del maratoneta o del sindaco?
«Entrambe richiedono resistenza. Ma le due fatiche hanno una cosa in comune: vengono sempre ripagate. Servire la comunità, come tagliare un traguardo, è una lezione di vita. Quello che imparo continuamente è che le cose belle richiedono sacrificio».

E tra le maratone e le maratone elettorali?
«Lo storico finora dice che sono decisamente più forte nelle seconde».

A proposito di impegni da sindaco, consigli comunali e campagne elettorali, dove trova il tempo per allenarsi?
«Correndo per Treviso! È il mio momento di riflessione: mi vengono idee, ripenso alle decisioni prese, noto buche e luci che non funzionano. Diciamo che è un modo dinamico per amministrare».

Lo consiglia anche agli altri sindaci?
«Assolutamente sì. So che molti colleghi sono sportivi. Correre aiuta la testa e il corpo, riduce lo stress e ti rimette in equilibrio».

New York era anche l’occasione per festeggiare il primo anniversario di matrimonio: una maratona d’amore?
«La vera impresa è stata quella di mia moglie Elisa. Aveva un problema alla schiena e ha stretto i denti. Dopo aver fatto insieme la Deejay Ten a Treviso volevamo festeggiare con qualcosa di speciale. Abbiamo unito la bellezza di un viaggio all’emozione di una sfida condivisa. Siamo arrivati al traguardo insieme».

E la sera?
«Siamo andati a cena in un ristorante. Con uno chef trevigiano, naturalmente».


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4 novembre 2025

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