
All’inizio i suoi video facevano trenta, quaranta visualizzazioni. Oggi Jonathan Canini è tra i comici più seguiti sul web (solo su Instagram ha 317mila follower) e dalla Toscana più profonda, dove è nato, cresciuto (è del 1994) e ha iniziato a fare questo lavoro, oggi riempie i teatri di tutta Italia (l’8 novembre sarà a Milano, all’EcoTeatro, con «Vado a vivere con me»).
Uno su mille ce la fa e lei è quell’uno. Come si diventa così seguiti sui social?
«Ho iniziato per scherzo, con un gruppo di ragazzi del mio paese, San Donato di Santa Maria a Monte, nella campagna toscana tra Pisa e Firenze… non è che ci fossero tante attrazioni, bisognava trovare il modo per passare il tempo. Così, dopo che ci eravamo stancati di giocare a briscola e biliardino, abbiamo pensato di provare a fare delle gag su YouTube. Ma non le guardava quasi nessuno, tranne un ragazzo che ci chiamò per fare uno spettacolino dal vivo. Ci siamo chiamati i piccioni spennati, nome che da allora hanno storpiato tutti. A una festa dell’Unità ci presentarono come i ciccioni stempiati».
Lì è nata la sua passione?
«Sì, in particolare per la risata. Per questo quando gli altri hanno rinunciato a questa bischerata, chi per lavorare, chi per l’università, io non me la sono sentita di dire basta e ho continuato da solo, portando avanti spettacoli comici che non avevano molto successo: a vedermi c’erano solo gli amici e i parenti stretti. Dopo un po’ confesso che ero demoralizzato, stavo pensando di smettere di fare cabaret finché conobbi un ragazzo con cui decidemmo di provare a fare un film».
Arrivò così «Oh quanta fila c’era».
«Sì, si trova ancora su YouTube. Con le proiezioni rientrai dei solfi che avevo speso per comprare l’attrezzatura e iniziai ad usarla anche per i video che facevo sul web. Nel frattempo mi iscrissi anche alla scuola di cinema di Firenze: volevo fare l’attore ma scelsi regia».
Quale è stato il momento di svolta?
«Quando un mio amico, dopo avermi sentito imitare l’accendo livornese di un forestiero che era entrato nel nostro circolo, mi suggerì di provare a fare un video in vernacolo, in toscano. Una cosa contraria a tutto quello che mi avevano insegnato alla scuola di cinema, però ci provai, pur non credendoci, tanto che caricai il video le sera tardi, prima di andare a dormire: il giorno dopo il mio telefono era esploso di notifiche e quel solo video aveva fatto 50mila visualizzazioni in una notte, più di tutti quelli che avevo pubblicato fino ad allora messi assieme».
Il toscano era la sua chiave.
«Ho capito che il pubblico apprezzava, così ho scritto uno spettacolo in toscano, Cappuccetto rozzo, con cui sono stato in scena per 46 date. Con il mio spettacolo attuale, invece, sono in scena da tre anni e quella di Milano sarà la centesima replica. Ricordando bene di quando mi esibivo davanti a 15 persone per me è un grande orgoglio essere arrivato a 50mila biglietti venduti».
Nei suoi video social interpreta diversi personaggi e fa spesso dei parallelismi di come le cose funzionavano in passato rispetto ad oggi.
«Non penso che fosse meglio ieri di oggi, ma siccome ci sono tante differenze, pur non andando troppo indietro nel tempo, sono stimolato da questo contrasto. Ho ripreso la mia esperienza teatrale e ho cercato di riportarla sul web. I più piccoli si divertono quando interpreto il bambino Michele, anzi Mihele. Sto pensando a come portarlo a teatro».
La comicità toscana è una tradizione. Da Benigni a Pieraccioni e Panariello, a chi si sente più vicino?
«Per me sono tutti dei giganti. Sono convinto che i comici possano fare le veci degli psicologi, per certi versi: in certi momenti non belli della mia vita sono stati aiutato dai film di Pieraccioni e Benigni. Quando non mi veniva a vedere nessuno mia nonna mi diceva sempre: chissene importa se sono poche persone, magari tra di loro c’è Pieraccioni. Questo finché un giorno non è venuto davvero a vedere un mio spettacolo».
E?
«Penso sia stata la sensazione più prossima alla morte che ho provato. Sono estremamente insicuro, ho sempre bisogno del consenso e, in generale, non riesco a percepire tanto bene la reazione del pubblico. Quando ho saputo che tra il pubblico era venuto anche lui, mi sono veramente emozionato, mi sentivo quasi in colpa, speravo di averlo divertito. Quando è passato a salutarmi non ho avuto neanche il coraggio di chiedere una foto».
Panariello invece?
«È un altro mostro sacro e, forse, quello a cui in un certo senso posso paragonarmi di più, facendo anche io dei personaggi. In quel caso una volta sono andato io a salutarlo dopo un suo spettacolo ma lui non si ricorderà sicuramente perché ero talmente intimidito da non aver detto praticamente nulla».
Chi è stato un suo riferimento?
«Tra tutti, in assoluto, non un comico toscano ma Massimo Triosi. Quando ho visto Ricomincio da tre sono rimasto folgorato: mi ha fatto innamorare del cinema comico che resta ancora il mio sogno. Mi piace moltissimo la dimensione del live, ma poter raccontare una storia attraverso un film mi piacerebbe tanto».
Come Benigni?
«Altro punto di riferimento incredibile, probabilmente il numero. Ma la mia ambizione è solo diventare un bravo attore… ci sto provando».
Come è far ridere fuori dalla Toscana?
«La prima volta sono andato a Roma ma era come andare all’estero. Era il 2019 e vendemmo 100 biglietti al Parioli, che quindi era semi vuoto ma la gente rise molto. A Milano sento sempre una grande empatia, solo che la gente ride anche quando non ho previsto che lo faccia. Una volta ho detto “la mi mamma” e tutti hanno riso, sarà stato per il tono…».
4 novembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
4 novembre 2025
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