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Arrestata la procuratrice militare che ha diffuso il video delle torture

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE 
GERUSALEMME – Sono in quattro nascosti dietro ai passamontagna neri ma si sentono la Forza 100, dal nome della loro unità militare. «Cancellate il processo, non ci piegherete», minacciano davanti alle telecamere. Ormai le accuse contro le guardie carcerarie riserviste stanno finendo dietro le quinte del teatro politico alimentato dalla destra al potere. Che abbiano — secondo i magistrati e un video diffuso dai telegiornali — picchiato, calpestato a terra, elettrificato con il taser, torturato con un pugnale fino a causargli ferite rettali un detenuto palestinese sta venendo rimosso dall’attenzione collettiva. 
Al suo posto Benjamin Netanyahu e i suoi vogliono puntare i riflettori su Yifat Tomer-Yerushalmi, l’ormai cacciata procuratrice generale militare, che ha ammesso di aver passato a un reporter il filmato degli abusi nel centro di detenzione Sde Teiman, allestito nel deserto per imprigionare i palestinesi catturati a Gaza durante la guerra. 

La polizia ha arrestato domenica sera l’ufficiale, dopo che gli agenti l’avevano cercata per ore lungo la costa a nord di Tel Aviv. Aveva lasciato l’auto abbandonata, forse anche un biglietto, secondo alcune ricostruzioni avrebbe tentato il suicidio. Di sicuro il suo cellulare è andato perduto in mare, così gli opinionisti vicini al premier si accaniscono contro Tomer-Yerushalmi, parlano di messinscena, di espediente per far sparire le prove contenute nel telefonino. 

La donna ha detto di aver favorito la fuga di notizie perché «temevo che venisse messo in discussione il nostro dovere di indagare quando esiste il ragionevole sospetto di violenze contro un detenuto».

Quando nell’estate dell’anno scorso la polizia militare è arrivata al campo nel deserto del Negev per prendere gli uomini della Forza 100, i parlamentari della destra hanno assaltato i cancelli della base e hanno cercato di impedire gli arresti. «Tenete giù le mani dai riservisti» aveva avvertito Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale. La campagna contro l’ex procuratrice è cominciata in quei giorni ed è continuata fino alle dimissioni forzate. 

Adesso è accusata di abuso di potere, ostruzione alle indagini. Ed è su questi reati che in apertura del consiglio dei ministri settimanale Netanyahu ha imbastito la sua requisitoria: «La divulgazione del filmato è il danno più grande all’immagine di Israele dalla fondazione». 

Bibi e gli ultranazionalisti stanno già sfruttando il caso per riprendere gli attacchi al sistema giudiziario e alla Corte Suprema, tentano di coinvolgere Gali Baharav-Miara, la procuratrice generale dello Stato, che si oppone alle mosse anti-democratiche del governo. «A dare una cattiva reputazione al Paese — replica il quotidiano Haaretz nell’editoriale – non è il video ma l’aver commesso crimini di guerra». 

Alla cerimonia in parlamento per commemorare i trent’anni dall’uccisione di Yitzhak Rabin, il presidente Isaac Herzog ha avvertito che «la nazione è sull’orlo dell’abisso. Questo non è un campo di battaglia ma una casa e in casa non si spara: non con le armi e non con le parole». Netanyahu — che nei mesi precedenti all’omicidio aveva fomentato la campagna d’odio contro il primo ministro degli accordi di pace — non ha partecipato all’evento di ieri come il resto dei suoi alleati. 

La seconda fase del piano di Donald Trump si sta muovendo al rallentatore. I turchi spiegano che Hamas «sarebbe pronta a dare il potere a un comitato palestinese» per amministrare Gaza. Resta il nodo del disarmo dei fondamentalisti: un sondaggio del centro diretto da Khali Shikaki rivela che il 55 per cento degli abitanti nella Striscia è contrario e la metà resta convinta che Hamas abbia preso la decisione giusta assaltando i villaggi israeliani il 7 ottobre del 2023, 1200 persone uccise.

3 novembre 2025

3 novembre 2025

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