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Al Must di Parma il viaggio nella storia della biodiversità. Una banca dati della genetica della natura

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DAL NOSTRO INVIATO 
PARMA – L’idea è suggestiva. Ed è inevitabile prenderla in prestito dal cinema, da Notte al museo, film di Shawn Levy del 2006  tratto dall’omonimo libro per ragazzi che l’illustratore croato Milan Trenc aveva pubblicato più di vent’anni prima. Con i personaggi della storia – portata sul grande schermo da un cast stellare che comprendeva tra gli altri Ben Stiller, Robin Williams, Owen Wilson, Rami Malek, ma anche Dick Van Dyke e il nostro Pierfrancesco Favino – che prendono vita all’interno dell’American Museum of Natural History, quando le porte si chiudono e il mondo reale resta chiuso fuori. 

Camminando tra le «camere delle meraviglie», le sale e le gallerie del Must, il nuovo Museo di storiografia naturalistica dell’università di Parma, che apre oggi ufficialmente al pubblico, il pensiero che qualcosa di analogo possa accadere tra le antiche mura del Palazzo Centrale – costruito nella seconda metà del 1600 come collegio dei gesuiti e diventato poi sede dell’università – si affaccia spesso alla mente. L’eventualità che qualche creatura possa improvvisamente animarsi e dialogare con noi. Gli animali  possono parlare il nostro linguaggio soltanto nella finzione. Ma possono dire molto anche soltanto lasciandosi ammirare. Che siano vivi oggi in mezzo alla natura; o cristallizzati in posa statica in una teca di vetro. Grazie alla tecnologia però qualcosa di simile in realtà accade, anche se a parlare non è l’incommensurabile bestiario che ci circonda, ma sono piuttosto i grandi numi tutelari del museo, che in video «prendono vita»  per raccontarci la storia. La loro, quella della città, quella del territorio. E quella di un mondo naturale che ancora oggi non abbiamo finito di scoprire.

Il percorso si snoda secondo il filo conduttore dell’evoluzione e di un approccio scientifico che ha conosciuto grandi cambiamenti nel corso dei secoli, grazie a pietre miliari lungo il tragitto rappresentate da scienziati come Linneo o Darwin, che con la classificazione rigorosa hanno imposto anche un nuovo modo di studiare e divulgare la biosfera. Sotto gli alti soffitti si intrecciano le vicende personali e la dedizione alla curiosità e alla conoscenza di nobili collezionisti, sovrani illuminati, scienziati e studiosi che hanno dato il loro contributo alla creazione di questo museo e alla conservazione della memoria. Come in tutti i musei, si potrebbe dire, che nascono proprio per tenere traccia delle vestigie del passato. Ma questo ha una particolarità in più: la memoria che custodisce è anche quella della biodiversità. Migliaia di reperti originali provenienti da collezioni uniche, ricche, dettagliate. Grandiose per i tempi e le modalità con cui furono messe insieme. Che oggi ci raccontano di un mondo naturale che dalla metà del 700 in avanti è diventato patrimonio di conoscenza condivisa. Che all’inizio era in realtà solo per pochi: antenate dei musei erano le «wunderkammer», le camere delle meraviglie, appunto, in cui nobili e possidenti mettevano insieme in un unicum, guidato perlopiù dal gusto personale e non da un criterio scientifico, animali impagliati e reperti fossili, ma anche manufatti e strumenti tecnologici dell’epoca, con il solo obiettivo di stupire gli ospiti. Per quanto questo fosse un vezzo appannaggio solo dei più abbienti, questo atto di civetteria colta ha creato una domanda e contribuito alla raccolta di reperti che sarebbero poi diventati le basi di una divulgazione diffusa, quella museale appunto.

Al Must di Parma il viaggio nella storia della biodiversità. Una banca dati della genetica della natura

Il percorso di visita del Must inizia e finisce proprio con due camere delle meraviglie. In mezzo si snoda il cammino evolutivo che si intreccia con le vite di chi quelle testimonianze iniziò a raccogliere. Il museo primigenio fu istituito nel 1766 da padre Jean Baptiste Fourcault, ornitologo della corte ducale, che allestì la prima esposizione in una parte dell’edificio che nel frattempo, dopo l’allontanamento dei gesuiti, era diventato sede dell’università. La collezione di reperti venne poi ampliata su impulso di Maria Luigia, al secolo Maria Luisa Leopoldina Francesca Teresa Giuseppa Lucia d’Asburgo-Lorena, già imperatrice consorte di Francia, che dopo avere abbandonato al suo esilio all’Isola d’Elba il marito Napoleone Bonaparte, divenne duchessa di Parma e Piacenza. Il museo si evolse ulteriormente nel corso dei secoli, a più riprese,  fino alla grande trasformazione curata nel 1925 da Angelo Anders

A cento anni di distanza ecco l’ulteriore trasformazione, che porta alla luce materiale che a lungo era rimasto custodito in stanze chiuse al pubblico e che oggi sono tra i punti di forza del museo, come lo scheletro fossile di una balena ritrovato sulle colline di Castell’Arquato, nel Piacentino (foto sotto), che in altre ere geologiche erano sommerse dal mare, che oggi occupa una teca lunga otto metri nell’ultimo tratto del percorso, in un corridoio del piano terra dove il museo si fonde con l’ateneo.

Al Must di Parma il viaggio nella storia della biodiversità. Una banca dati della genetica della natura

«In un periodo in cui la biodiversità e la sua tutela sono al centro del lavoro di molti scienziati – spiega Daniele Persico, direttore scientifico del Must – un museo come il nostro è una incredibile banca dati della natura, che ci racconta di ambienti e specie animali, come erano allora e come sono oggi. Una sorta di fotografia tridimensionale che permette di osservare i cambiamenti avvenuti, di capire da dove siamo partiti e quanto nel corso dei secoli abbiamo perso». 

Oggi, con gli enormi passi avanti compiuti nel campo  della ricerca, i reperti custoditi sono anche un importante archivio genetico. Si potrebbe passare ad altre suggestioni cinematografiche, leggi Jurassic Park, ma in questo caso non è necessario affidarsi alla fantasia: gli studi sul dna e sul Crispr, l’editing genetico, hanno fatto progressi impensabili fino a pochi anni fa e la possibilità di mettere a confronto il genotipo di animali della stessa specie ma di epoche diverse apre scenari incredibili. Non è un caso che siano già arrivate richieste per poter effettuare ricerche su quello che è stato scelto come animale simbolo del museo, l’okapia, che assomiglia a una sorta di gazzella ma che in realtà è un giraffide, senza il collo pronunciato, di cui a Parma sono custoditi due esemplari: oggi l’okapi, come viene chiamato più popolarmente, è una specie a rischio. L’Unione internazionale per la conservazione della natura la classifica nella sua Lista Rossa delle specie minacciate come «in pericolo», solo due gradini sotto la casella dell’estinzione. Ci sono però diversi esemplari conservati in giardini zoologici, anche in Italia a Falconara Marittima, e lo studio comparato del dna potrebbe rivelare molto sull’evoluzione di questo animale. Oggi è minacciato dall’interferenza delle attività umane, soprattutto dalla perdita di habitat, e come per tutte le specie conservate in cattività la prospettiva di un reinserimento in natura è fortemente condizionata dalla disponibilità di luoghi idonei.

Al Must di Parma il viaggio nella storia della biodiversità. Una banca dati della genetica della natura

Altri pezzi forti del Must sono i resti dello scheletro di un delfino che riporta sulla cassa toracica i segni di un morso, probabilmente ad opera di uno squalo, che la fossilizzazione ha consegnato ai giorni nostri; un dente di narvalo custodito nel salotto di Maria Luigia, che vi era molto affezionata perché a quei tempi la zanna spiralizzata di questo cetaceo era associata al mito dell’unicorno; enormi scheletri di elefanti e giraffe; una gamma di animali che va dagli invertebrati ai grandi mammiferi, che suscitano ammirazione oggi e chissà quanta di più in epoche in cui internet e la tv non avevano ancora normalizzato tutto ciò che invece in natura è sempre unico e straordinario. C’è anche una stanza speciale, con  una collezione di decine migliaia di farfalle (numero esatto ignoto, nessuno le ha mai contate!) provenienti da tutto il mondo, raccolte da don Enzo Boarini, un sacerdote erudito che si approcciò allo studio della natura con spirito francescano, riconoscendola come opera del Creatore, che se le faceva inviare dagli amici missionari sparsi nei cinque continenti e che una volta ne ricevette due catturate da un marine americano che le catturò in una trincea durante la guerra in Corea. 

Grande spazio viene dato anche alle raccolte dell’epoca coloniale, le collezioni di Emilio Piola e Temistocle Ferrante ma anche e soprattutto i reperti riportati in patria da Vittorio Bottego, l’esploratore parmense che partecipò alle spedizioni italiane nel Corno d’Africa, che gli permisero di raccogliere una grande quantità di materiale di studio ma durante le quali trovò anche la morte. Le esposizioni di questi reperti sono state «decolonizzate» nell’impianto narrativo, ricordando le vere ragioni per cui quelle campagne avvennero e contestualizzando, nella parte più etnografica, le funzioni e il contesto reale di oggetti, armi, monili oggi esposti.

«È un museo unico al mondo, il primo di storiografia naturalistica – sottolinea ancora Persico -. È interamente improntato sulla storicità, su reperti e raccolte che si intrecciano con la storia di chi ha permesso di farle arrivare questo materiale fino a noi. Abbiamo deciso di partire da una wunderkammer e dallo spirito che questi ambienti rappresentavano, ovvero l’idea di contenere l’universo mondo in un’unica stanza. E abbiamo esteso il concetto all’intero museo dando però un taglio scientifico e storico differente nell’esposizione». Una narrazione moderna per una storia naturale lunga mezzo millennio. Da vedere. Un Must, insomma.   

1 novembre 2025 ( modifica il 1 novembre 2025 | 13:26)

1 novembre 2025 ( modifica il 1 novembre 2025 | 13:26)

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