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Memorie e motivazioni: siamo guidati dall’inconscio?

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Quando si parla di processi inconsci si potrebbe pensare che la loro esistenza comporti il fatto che, dentro la mente, esiste un’entità che a nostra insaputa guida non solo i pensieri ma anche i comportamenti.

Le ricerche recenti sull’argomento indicano che così non è. Non c’è nessuna entità guida di questo tipo, e la mente non è consapevole di una serie di processi inconsci che avvengono sotto forma di elaborazione parallela e che sono indispensabili per il funzionamento psichico.

«Esempi di questi processi inconsci sono la memoria implicita, l’apprendimento implicito e la motivazione implicita» spiega Joel Weinberger, una delle più riconosciute autorità a livello internazionale sui temi dell’inconscio. «La memoria implicita prevede che ci comportiamo come se ricordassimo qualcosa, anche se in realtà non la ricordiamo in modo conscio. È stata scoperta all’inizio in soggetti con danni cerebrali: persone alle quali era stata insegnata una specifica abilità, ma che subito dopo non ne avevano alcun ricordo. Affermavano di non averla mai imparata, però erano capaci di praticarla. Poi il fenomeno è stato osservato anche in persone con cervello intatto». 

«Si pensi, ad esempio, alla cosiddetta “amnesia infantile”, secondo la quale non ricordiamo quasi niente prima dei tre anni. Eppure le esperienze fatte in quel periodo della vita sono decisamente importanti per lo sviluppo di una persona. Una possibile spiegazione dell’amnesia infantile è che, mentre la memoria implicita esiste dalla nascita, la memoria esplicita conscia inizia a formarsi solo dopo i tre anni circa. Si tratta quindi di due tipi di memoria diversa, una delle quali è finita fuori dal dominio della coscienza»

«Poi c’è l’apprendimento implicito, grazie al quale impariamo molto anche senza rendercene conto: esempi sono gli stereotipi e le regole della cultura di riferimento. Il fatto che non sappiamo di averli imparati non rende questo apprendimento meno utile di quello esplicito. Ma esistono anche motivazioni implicite, ossia obiettivi o desideri di cui non si è consapevoli. Un esempio di questo tipo di motivazioni è quella all’affiliazione, ossia al desiderio unanimemente condiviso di essere accettati e apprezzati dalle altre persone, sostenuto anche dal fatto che in generale per molti è difficile tollerare la solitudine. Un possibile problema riguardante la motivazione implicita può manifestarsi quando motivazioni consce e motivazioni inconsce non collimano tra loro. Allora accade che una persona non sia consapevole di ciò che la motiva realmente e quindi potrebbe trovarsi a cercare di raggiungere obiettivi sostenuti da motivazioni consce che risultano in contrasto con quelle inconsce».

E nelle azioni? Gli esseri umani sono guidati più dalle emozioni
o dai pensieri?
«Difficile una risposta netta» dice Joel Weinberger. «La tesi a favore della priorità dei pensieri è che per provare un’emozione dobbiamo prima sapere a cosa stiamo reagendo. La tesi a favore delle emozioni proviene da considerazioni evoluzionistiche: i nostri antenati dovevano reagire prima di sapere cosa stava succedendo, altrimenti avrebbero rischiato la vita, e ci sono ricerche che rinforzano questa tesi. Il tema è oggetto di discussione: i terapeuti cognitivi dicono che i pensieri vengono prima, gli psicoanalisti tendono a favorire le emozioni. Ciò che sappiamo è che la nostra prima reazione ci fa essere più sensibili agli aspetti negativi. Anche questo ha un senso evoluzionistico: infatti, se i nostri antenati si lasciavano sfuggire qualcosa di pericoloso rischiavano la vita. Quindi ci siamo evoluti con maggiore attenzione verso gli stimoli negativi. In ogni caso, credo che di volta in volta sia importante ciò che è saliente in una specifica situazione».

25 ottobre 2025

25 ottobre 2025

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