
Con Andrea Laszlo De Simone è necessario procedere per sottrazione e per negazione: il cantautore, polistrumentista e produttore torinese, 39 anni, non fa concerti, non usa quasi mai i social, evita ogni genere di riflettore e al successo antepone il tempo da trascorrere con i suoi due figli. Ma quel che arriva potente e diretto è la sua musica, capace di smuovere le emozioni e di renderlo, suo malgrado, uno dei fenomeni artistici più sorprendenti degli ultimi anni.
Così accade che, durante questa intervista, fuori da una pasticceria milanese, appaia casualmente Arisa, lo veda e lo riempia di complimenti: «La tua musica mi nutre tantissimo», gli dice. Come si spiega questo effetto? «Non lo so, forse è perché sono una persona molto vulnerabile e credo che lo siamo tutti quanti», prova a ipotizzare lui.
Con il suo nuovo album «Una lunghissima ombra», legato anche a un progetto visivo, Laszlo De Simone si concentra sui pensieri intrusivi, sul «posto in cui andiamo quando veniamo attraversati da pensieri non ben formalizzati che però costituiscono il nostro umore». Un viaggio tra ricordi, sensazioni, sensi di colpa: «Ma non sono io il protagonista – avverte -, è che sono la cavia. Volevo indagare un lato dell’essere umano che non posso indagare negli altri, perché giustamente è privato, e quindi ho indagato lo stesso, cercando di essere il meno preciso possibile».
All’inizio del 2024, Laszlo De Simone è stato il primo italiano a vincere un César, fra i massimi riconoscimenti del cinema francese. La scorsa estate, invece, il suo brano del 2017 «Fiore mio» è stato il più usato in Italia su TikTok. Una viralità paradossale per un artista che TikTok nemmeno ce l’ha: «Mi fa piacere che le mie canzoni piacciano, anche se non mi riguarda direttamente, ma al tempo stesso non faccio i salti di gioia se finiscono in un contenitore in cui le singole persone iniziano a funzionare come aziende, dove quel che dici si converte in “like” e utile personale. Chiunque ha dei follower, ma avere dei seguaci è un ruolo che filosoficamente io mal tollero, mica voglio essere il capo di una setta. Mi devo appellare al fatto che ho una profonda stima per ogni singolo essere umano e quindi mi fido anche delle loro modalità. Non riesco ad avere TikTok, ma non squalifico una persona che lo usa, così come non mi piace Sanremo, ma non squalifico chi lo fa».
Per Laszlo De Simone la musica è «un atto iper egoista» che svolge di notte, completamente da solo: «Ho avuto proposte di collaborazione, ma mi metterebbe a disagio lavorare con qualcuno», spiega. La sua è «una profonda passione che non voglio diventi mestiere», anche se in parte lo è, trovando i minimi compromessi indispensabili, «ma non per la mia carriera perché a me andrebbe benissimo lavorare come dipendente di un ferramenta e la sera fare musica, anzi il periodo più bello della mia vita è stato quando lavoravo come decoratore, o facevo pavimenti, e la sera a casa facevo musica».
Questo suo sottrarsi allo sguardo pubblico non alimenta proprio il mito che rifugge? «È che non se ne viene fuori – risponde – e l’unica cosa che si può provare a fare è mantenere un livello di coerenza con se stessi più alto che si riesce. Io voglio poter continuare a parlare, non tanto alla gente, ma ai miei figli o alle persone a cui voglio bene».
Laszlo De Simone sottolinea anche di non essere un fan della sua musica: «Il 90% dei progetti delle mie canzoni si intitola “che schifo” o “lascia perdere”. Mi piace il percorso, ma non faccio quel che piace a me, altrimenti probabilmente farei “Kid A” dei Radiohead». Totale autodidatta, dice di non essere «mai diventato bravo a suonare niente»: «Non leggo neanche le note semplici, registro male, credo che la mia scrittura sia un incastro complesso di parti semplici. C’è il presente che suona male, ci sono suoni rovinati, come fossero ripresi col vhs, non perfettamente a fuoco, ma forse così sono le persone a dover mettere a fuoco».
Nel disco, «Per te» è dedicata a sua figlia più piccola, così come qualche anno fa «Dal giorno in cui sei nato tu» era scritta per il primogenito: la sua vita personale viene prima di tutto, nella convinzione che «chiunque spinga per la carriera ed il successo non ci abbia pensato bene». Però «non so bene come funziona il mondo – conclude -. So un po’ come funziono io»
23 ottobre 2025
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