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La sfida di Zaia contro i «veti»: «Io capolista in tutto il Veneto»

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DAL  NOSTRO INVIATO
PADOVA – La notizia arriva poco prima delle 21.30. E la dà il governatore veneto Luca Zaia: «Sarò il capolista della Lega in tutte le Province». Il presidente non ricandidabile ufficializza quanto già si diceva da tempo: a dispetto della battaglia persa dalla Lega per il terzo mandato, a dispetto dell’impossibilità di fare il candidato sindaco di Venezia (andrà a FdI), non ci saranno strappi. Solo l’amarezza più volte ribadita di «aver scoperto di essere un problema», perché «posso capire tutto, ma non i veti». Così con «l’orgoglio del militanti», farà la parte in cui tutti speravano: il portare voti per il suo partito, l’unica «soluzione per diventare un problema reale». «Se prima si diceva “dopo Zaia, solo Zaia”, adesso si dirà “dopo Zaia, scrivi Zaia”», dice in chiusura, mentre il segretario veneto di FdI ieri sportivamente ha detto ad Affaritaliani che se il suo partito «avesse un fuoriclasse del calibro di Luca Zaia», lo avrebbe «candidato capolista ovunque e in tutte le province».

Fa bene Matteo Salvini, a sua volta «militante tra i militanti», forse un po’ più umile del solito, a ricordare la lunga marcia per arrivare a ieri sera: «Che battaglia, che fatica, quante sere, quanti tavoli di trattativa». Non era scontato infatti essere al via di una nuova campagna elettorale in Veneto con un candidato, ancora una volta, leghista: Alberto Stefani, vicesegretario dello stesso Salvini e deputato. A dispetto dei rapporti di forza con FdI. Ma se c’è una cosa certa riguardo al leader leghista, è che non molla: «Conto di portare la Lega a essere ancora coraggiosamente e gagliardamente il primo partito in Veneto». Anche se è attento a non risultare ingombrante: alla fine del comizio, cosa senza precedenti, non torna sul palco.

Luca Zaia non scioglie il gran quesito su che cosa farà a mandato scaduto e a sua volta fa bene a ricordare che «noi siamo sempre gli stessi». Perché la sensazione di tanti, soprattutto dopo le regionali in Toscana, è che la Lega stia cambiando ancora fisionomia, con mezzo partito in rivolta per la «vannaccizzazione». Ma di questo si parlerà martedì prossimo, al consiglio federale leghista.

In questa sera di mezza settimana, piuttosto, qualcuno tira un respiro di sollievo perché soltanto le ultime tre file del Gran Teatro Geox di Padova restano sguarnite. L’evento avrebbe dovuto essere l’inizio della campagna elettorale di tutto il centrodestra, anche se non è mai stato ufficiale. La serata però è stata rimandata un paio di volte prima di trovare spazio ieri, a metà settimana. E dunque è strettamente leghista (con l’eccezione del segretario dell’Udc De Poli), ma anche strettamente veneta. Certo, c’è il presidente della Camera Lorenzo Fontana, dal governo i sottosegretari Ostellari e Bitonci. Ma il resto dello stato maggiore leghista è altrove.

Tutto inizia con il minuto di silenzio per i tre carabinieri uccisi nella folle esplosione di Castel d’Azzano. A condurre, la giornalista Mediaset Francesca Carollo che chiama sul palco Mario Conte. Il sindaco di Treviso non è proprio tra coloro che almanaccano sul cambio di leadership nella Lega, ma con un lapsus certamente involontario saluta Stefani come «il nostro Capitano». E pazienza se per anni nella Lega è stato Salvini «il Capitano».

 Stefani inizia un po’ pallido, la tensione è comprensibile. Essere il successore di Zaia non è facile, dare il segno della discontinuità nella continuità è complicato. Il ragazzo prodigio della Liga su un punto vuole essere chiaro: «La nostra non è soltanto una sfida generazionale. La nostra deve essere una rivoluzione di stile, di chi non prova odio. Non mi sentirete mai parlare male degli avversari. Così bisogna fare politica: senza odio, senza violenza verbale a cui per troppo tempo abbiamo assistito».


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16 ottobre 2025 ( modifica il 16 ottobre 2025 | 07:28)

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