
DAL NOSTRO INVIATO
PADOVA – È la serata di lancio della candidatura dell’enfant prodige leghista Alberto Stefani, a soli 32 anni pronto a diventare il presidente di Regione più giovane d’Italia. Ma la scena se la prende Luca Zaia. I tremila presenti lo accolgono con standing ovation e invocazioni «Lu-ca, Lu-ca». Ed è il segno che il futuro del Doge difficilmente si esaurirà nel ruolo di «semplice» consigliere regionale veneto. Il suo nome affiora in molti discorsi interni, la sua figura cattura interessi convergenti. Anche Matteo Salvini lo coccola riempiendolo di complimenti come mai in passato. Sembra di intravedere all’orizzonte qualcosa di più, difficile ora da definire ma che potrebbe man mano delinearsi se la Lega dovesse continuare sulla strada del sovranismo-populismo che risulta sempre più indigeribile dentro il partito e poco apprezzato anche dagli elettori (vedi la pesante battuta d’arresto in Toscana dove la regia è stata lasciata a Roberto Vannacci). Bisogna ascoltare le voci che arrivano da leghisti storici, e di un certo peso, per capire cosa si sta muovendo.
Sentite Attilio Fontana, governatore della Lombardia: «Io credo che Luca Zaia sia fondamentale in Veneto ma non soltanto in Veneto, perché sicuramente ha dimostrato di essere un grande presidente di Regione ma anche un uomo politico di notevole spessore. Quindi, penso che il partito debba avere bisogno di persone come Zaia». Attenzione alla sottolineatura sull’utilità del presidente uscente per la Lega. Riaffiora l’idea di creare due Leghe, sul modello delle gemelle Cdu e Csu, per tenere dentro sia le istanze del Nord sia le esigenze del Centro-Sud. Fontana la mette sul tavolo: «È una cosa sulla quale si può discutere, l’importante è che rimangano le nostre prerogative. Poi sulla strutturazione si valuterà, ne parliamo. L’importante è che ogni territorio trovi nella Lega la propria tutela». Un progetto politico che per camminare ha bisogno necessariamente che qualcuno se ne faccia carico, che detti la linea e la porti avanti. Ed è qui, forse, che si potrebbe individuare un nuovo ruolo di rilievo per Zaia. Nessuno lo dice ad alta voce, si preferisce evitare pubblicamente l’argomento.
Ma Zaia è una risorsa della Lega. E ora che lascia la prima linea, avrà molto tempo libero. Quale condizione migliore per coltivare un modello e dargli corpo assumendone la leadership? Il ruolo di Matteo Salvini, al momento, non è in discussione. E però in politica, come dice anche il Doge al suo popolo veneto, «tutto ha un inizio e una fine». L’apprezzamento che il governatore uscente raccoglie dentro il partito è marcato. Massimo Garavaglia, leghista lombardo della prima ora, la dice così: «Non mi riconosco in una Lega triste e arrabbiata (si riferisce a quella toscana, ndr). La Lega è altra cosa: il buon governo di Giorgetti, il buon governo di Zaia ma anche un’idea di libertà e sviluppo che trova nell’autonomia dei territori verso Roma la chiave».
Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera, la prende più larga, ma il suo ragionamento che parte dalla pesante sconfitta in Toscana riporta alla visione politica che più volte Zaia ha esplicitato: «Il fatto di lanciare un messaggio politico così ideologico da una parte sola ha pesato nel voto in Toscana, perché non è il messaggio della Lega, perché la Lega ha sempre preso voti da destra, da sinistra, dal centro, proprio perché è post ideologica». È una richiesta di tornare ai valori e alle parole d’ordine storiche del partito, come sottolineato anche dal collega capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. E chi meglio di Zaia, tanto più se libero da impegni istituzionali, può farsene testimone?
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16 ottobre 2025
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