
DALLA NOSTRA INVIATA
VALICO DI EREZ – Tosse incessante. È così fastidiosa che il primo ministro Benjamin Netanyahu non riesce a parlare durante l’ultima udienza del suo lungo processo per corruzione, iniziato a maggio 2020. «Chiediamo che termini prima», i giudici accettano. Bronchite. Una diagnosi che fa infuriare le famiglie degli ostaggi: «Se Netanyahu ha un raffreddore che non accenna a passare, perché ha visitato gli ex prigionieri con un sistema immunitario indebolito e li ha messi a rischio?».
Le famiglie dei rapiti sono la sua spina nel fianco. E ora il premier israeliano ha un altro problema da risolvere. Ieri sera, Hamas ha riconsegnato due corpi di prigionieri tenuti a Gaza. Siamo a nove su 28. Gli altri 19, sostengono i miliziani, restano irraggiungibili: «Arrivare alle salme rimanenti richiede sforzi significativi e attrezzature specializzate per localizzarle ed estrarle», comunica l’ala militare del gruppo. Il governo israeliano contesta la risposta. Dice che Hamas può recuperarne almeno altri dieci e fornisce ai mediatori possibili luoghi in cui si potrebbero trovare i corpi.
In soccorso di Netanyahu arriva l’amico Donald Trump, campione nel far firmare e far traballare le tregue. In un’intervista alla Cnn, il presidente americano dichiara che potrebbe prendere in considerazione la possibilità di consentire al premier israeliano di ricominciare l’azione militare a Gaza se Hamas si rifiutasse di rispettare la sua parte dell’accordo di cessate il fuoco. Intende la restituzione di tutti gli ostaggi – vivi e morti – e il disarmo. «Ci penso io, Israele tornerà in quelle strade non appena lo dirò. Se Israele potesse entrare e farli fuori, lo farebbe», continua con toni poco rassicuranti. Ammorbiditi durante una conferenza stampa alla Casa Bianca dove ricorda che se non avesse colpito i siti nucleari in Iran, i Paesi arabi non si sarebbero mai sentiti abbastanza sicuri per fare accordo di pace. «Vogliamo che Hamas consegni le armi, ma non c’è bisogno di soldati americani nella Striscia».
Sugli ostaggi dice che sperava «di ottenere i corpi di quelli morti. Ma vi promettiamo che non ce ne andremo finché tutti non tornano a casa». Ma, per ora, «non siamo a un punto in cui pensiamo che l’accordo sia stato violato». Alti funzionari statunitensi spiegano che le priorità a Gaza sono la prevenzione della conflittualità, i corpi dei prigionieri, gli aiuti umanitari e la ristabilizzazione dell’ordine.
Ieri, a Gaza, sono entrati i camion degli aiuti umanitari e sono ripresi i preparativi per aprire il valico di Rafah, al confine con l’Egitto. Un sospiro di sollievo per tutta la popolazione stremata dalla guerra che temeva ancora blocchi. Il giorno prima, il governo israeliano aveva avverito che avrebbe potuto chiudere Rafah e ridurre gli aiuti umanitari, vista la lentezza nella riconsegna dei corpi degli ostaggi deceduti. I miliziani, con il timore di offrire subito una scusa perfetta per far saltare la tregua, nelle ore successive alla minaccia hanno consegnato sei corpi anche se uno di questi è diventato un giallo. Le autorità israeliane affermano che il dna non corrisponde a nessuno degli ostaggi attesi.
A Rafah arriverà la Missione di assistenza alle frontiere dell’Unione Europea (Eubam) per consentire la riapertura del valico, che dovrebbe slittare a non prima di domenica o lunedì. I militari del contingente Eubam – una trentina tra cui otto carabinieri – avranno il compito di ripristinare le strutture necessarie a consentire il transito da entrambi i lati. La missione si era dovuta ritirare a marzo, quando la tregua precedente era saltata. I militari europei dovranno anche addestrare le forze palestinesi che lavoreranno al cancello egiziano.
15 ottobre 2025
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