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Il ritorno di Amos Gitai a Tel Aviv: «Porto per la prima volta qui la storia dell’omicidio Rabin e di come fu uccisa la pace»

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DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV –  Il primo giorno di novembre gli israeliani che ancora credono nella pace si ritroveranno per provare a zittire in una preghiera laica e collettiva i colpi di pistola sparati trent’anni fa per freddare quella pace. I colpi rimbomberanno anche nel teatro dove in questi due anni di guerra ha suonato l’orchestra filarmonica, non lontano dal frastuono angosciato di piazza degli ostaggi, il quadrilatero di pietre bianche davanti al museo di arte contemporanea diventato simbolo e luogo di ritrovo per i famigliari dei rapiti e le migliaia di persone che li hanno sostenuti.

Amos Gitai è voluto tornare «dove tutto è iniziato» con lo spettacolo che ha portato nel mondo per commemorare la notte in cui Yitzhak Rabin è stato ammazzato e assieme a lui — per ora — le speranze di una coesistenza con i palestinesi. Il regista e i produttori hanno aspettato prima di pubblicizzare la serata — una sola — che i venti sequestrati, gli ultimi ancora in vita, venissero rilasciati, che i cuori degli israeliani potessero cominciare a riaprirsi.

Amos Gitai è voluto tornare «dove tutto è iniziato» con lo spettacolo che ha portato nel mondo per commemorare la notte in cui Yitzhak Rabin è stato ammazzato e assieme a lui — per ora — le speranze di una coesistenza con i palestinesi. Il regista e i produttori hanno aspettato prima di pubblicizzare la serata — una sola — che i venti sequestrati, gli ultimi ancora in vita, venissero rilasciati, che i cuori degli israeliani potessero cominciare a riaprirsi.

«La gente è immobilizzata nel proprio dolore — commenta Gitai — e invece dobbiamo muoverci verso il dolore dell’altro. La televisione israeliana non ha mostrato la devastazione a Gaza, allo stesso tempo i canali palestinesi non hanno condiviso la distruzione nei kibbutz e la perdita di vite umane tra gli israeliani». 

Gitai è arrivato a Tel Aviv per lavorare all’allestimento, il suo appartamento è nella zona della metropoli chiamata Città Bianca dove sono concentrati la maggior parte dei palazzi costruiti in stile Bauhaus. «Non lontano da qui — indica oltre le vetrate — è stato commesso uno degli attacchi terroristici più gravi perpetrati per deragliare gli accordi. Non dobbiamo dimenticare che nei giorni in cui Rabin aveva dato l’ordine all’esercito di ritirarsi dalle città palestinesi è stata lanciata questa ondata di attacchi contro i civili israeliani. Hamas, la Jihad islamica e allo stesso tempo i coloni estremisti costituiscono un’alleanza perfetta per far saltare qualunque sforzo verso la pace». 

Le «Cronache di un assassinio» — commesso da Yigal Amir, un fanatico israeliano il 4 novembre del 1995 — sono raccontate attraverso la voce di Leah Rabin, interpretata da Yael Abecassis e Keren Mor. L’assedio attorno alla casa nel nord di Tel Aviv, dove gli ultranazionalisti di destra insultano ogni giorno il marito Yitzhak, gli sputano addosso: «Sempre in 49 perché la legge prevede che il permesso per una manifestazione debba essere richiesto da 50 persone in su. Il pubblico assiste all’incitamento contro il primo ministro come Leah testimonia nelle sue memorie».

Le «Cronache di un assassinio» — commesso da Yigal Amir, un fanatico israeliano il 4 novembre del 1995 — sono raccontate attraverso la voce di Leah Rabin, interpretata da Yael Abecassis e Keren Mor. L’assedio attorno alla casa nel nord di Tel Aviv, dove gli ultranazionalisti di destra insultano ogni giorno il marito Yitzhak, gli sputano addosso: «Sempre in 49 perché la legge prevede che il permesso per una manifestazione debba essere richiesto da 50 persone in su. Il pubblico assiste all’incitamento contro il primo ministro come Leah testimonia nelle sue memorie».

Un incitamento rilanciato da Benjamin Netanyahu alle manifestazioni organizzate dalla destra per fermare l’intesa con i palestinesi. Da allora l’attuale primo ministro ha cercato di negare qualsiasi spinta alla violenza, eppure aveva partecipato a cortei dove i dimostranti urlavano: «Morte a Rabin». 

Gitai spiega che «il nome del premier risuonerà sul palco». Ha tenuto il progetto di portare lo spettacolo in scena a Tel Aviv segreto fino all’ultimo. «Ottenere i permessi è stato difficile durante questa lunga guerra. Ma Israele è un Paese speciale che amo, un amico mi ha contattato e mi ha detto: affitto il teatro per te». 

Un Paese in cui non ha perso la speranza come non l’ha persa per la pace: «Raggiungere la convivenza senza conflitti non è solo possibile è obbligatorio. Quali sono le altre opzioni: nichilismo, violenza? Questa terra appartiene ai due popoli e dobbiamo trovare un modo per viverci insieme». Non discute della parola «genocidio» usata per definire l’offensiva dell’esercito a Gaza ordinata dopo i massacri nel Sud di Israele il 7 ottobre 2023: «Non è questione di terminologia per me. La guerra è terribile a sufficienza, la tragedia reale enorme abbastanza: le grandi cicatrici nella società israeliana, la distruzione e l’aver affamato Gaza, i palestinesi uccisi senza necessità».

15 ottobre 2025

15 ottobre 2025

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