Home / Esteri / Dopo 48 ore, i primi racconti degli ex ostaggi

Dopo 48 ore, i primi racconti degli ex ostaggi

//?#

Un articolo del quotidiano progressista Haaretz comincia con una frase che riassume alla perfezione il significato di questi giorni israeliani: «Per la prima volta in oltre due anni, nessun ostaggio ancora vivo è nelle mani di Hamas». È quel «per la prima volta» che fa comprendere la portata storica di questo momento. Nei tunnel della Gaza martoriata dalle bombe, non ci sono più uomini e donne d’Israele. I vivi sono tornati. Ora si aspettano i corpi degli ostaggi che non ce l’hanno fatta, ma qui, «per la prima volta da due anni» si respira. Gli ultimi venti prigionieri — tutti maschi, quasi tutti giovani e quasi tutti rapiti al Nova Festival — sono con le loro famiglie negli ospedali più grandi del Paese. Fanno visite e controlli e passano il tempo con chi li ha aspettati per 738 giorni, perdendo voce e sonno per farsi ascoltare da un primo ministro accecato dalla guerra, che spesso sembrava dimenticarsi la priorità del suo popolo: riportare tutti a casa. E a 48 ore dal loro rilascio, questi giovani uomini iniziano a raccontare che cosa hanno vissuto sul corpo e nell’anima. Le torture, le cicatrici, ma anche le speranze. La fame, la solitudine e la paura che a casa non fosse rimasto più nulla, che il Paese fosse stato raso al suolo. Le catene alle caviglie, una pita divisa con gli altri compagni. Il terrore delle bombe israeliane che cadevano inesorabilmente. E quegli aguzzini, che non hanno avuto nessuna pietà.

Elkana Bohbot

Ha mal di stomaco, Elkana Bohbot. Gli fa male, spiegano i medici, perché prima di liberarlo i miliziani di Hamas lo hanno imbottito di cibo: non volevano che una volta fuori sembrasse malnutrito. Invece, mangiava solo qualche pezzo di pita il 36enne rapito al Nova Festival che ha passato quasi tutti i 738 giorni legato a una catena, sotto un tunnel, senza luce e senza aria. Ha raccontato dalla sua camera d’ospedale: «Lì sotto ho perso la cognizione del tempo e dello spazio». Ha ricordato un momento per lui speciale: era il giorno dell’anniversario di matrimonio. Sua moglie si chiama Rivka. Voleva festeggiare quella data e ha chiesto a una guardia di fare una doccia. Non aveva mai fatto la doccia prima. Il miliziano gli ha risposto «fai silenzio». Elkana ha trovato il coraggio di richiederglielo e lo ha convinto. L’aguzzino lo ha liberato dalle catene, gli ha rasato la testa e lo ha fatto lavare. Oggi Elkana ha forti dolori alle gambe e alla schiena. L’ex prigioniero ha potuto riabbracciare la compagna e il figlio Ram, di 5 anni. All’asilo il piccolo ha costruito un binocolo: «Ha saputo che suo padre sarebbe tornato in elicottero, e in questi mesi lo ha cercato guardando il cielo». L’ultima volta che la famiglia lo aveva visto in vita, appariva in un video pubblicato da Hamas. In lacrime, piegato a terra, implorava: «Sto soffocando. Voglio uscire. Per favore, aiutatemi. Mi manca la mia famiglia».  

Matan Angrest

Gli ultimi quattro mesi, Matan Angrest li ha passati in un tunnel minuscolo e buio. Il soldato rapito da un carro armato al confine con Gaza ha raccontato di essere stato operato alla mano senza anestesia, come molti nella Striscia. La madre Anat ha condiviso alcuni dettagli dei 738 giorni di buio vissuti dal figlio: «Per un lungo periodo è rimasto solo, era un sorvegliato speciale perché faceva parte dell’esercito». Non aveva informazioni su quello che stava succedendo intorno a lui. I miliziani gli dicevano che «Israele li aveva abbandonati, che avrebbero conquistato il Paese, e che stavano pianificando il prossimo 7 ottobre». Il ragazzo ricorda «i pesanti bombardamenti dell’esercito israeliano, gli aerei che volavano sopra le loro teste. I muri che crollavano accanto a lui, e la polvere delle macerie». Nei giorni prima del rilascio «gli hanno dato molto più cibo», ha detto la madre. Matan ha dimenticato i dettagli del suo rapimento, ma non la battaglia che lo ha preceduto e gli amici uccisi. «Ha dei flashback di un incendio. Si ricorda che si è ustionato le mani e di aver perso conoscenza». Una volta tornato in Israele ha scoperto che i rapitori gli avevano mentito anche sulla famiglia: gli avevano detto che i nonni , sopravvissuti alla Shoah, erano morti. Vederli vivi è stata una delle più grandi gioie. «Nonostante tutto — ha detto la madre — Matan sembra stare abbastanza bene, soprattutto psicologicamente». 

Nimrod Cohen

Poter dire quello che hanno appena dichiarato, era il sogno dei genitori di Nimrod Cohen. Il padre: «Nimrod è rimasto Nimrod». I due anni di prigionia lo hanno reso più magro e pallido, ma «il modo di parlare di mio figlio è uguale, il suo umore è buono. Nimrod è lo stesso mio ragazzo di prima», dice Yehuda Cohen. Il giovane ex ostaggio ha iniziato a raccontare i suoi 738 giorni nei tunnel dei miliziani. Lo scorso marzo, dopo la fine della seconda tregua, con il blocco degli aiuti umanitari da parte di Israele, anche il cibo per i prigionieri è drasticamente diminuito. Durante la detenzione, Nimrod è riuscito a ricevere qualche frammento di notizie che arrivavano dai discorsi degli aguzzini, dalle radio. «Sapeva che stavamo lottando per lui», insieme alle altre famiglie per riportare gli ostaggi a casa. Sapeva che il popolo israeliano non ha mai dimenticato i prigionieri. Il signor Cohen è felicissimo, il ritorno del figlio era la sua priorità, ma finalmente può anche dire quello che pensa, perché Nimrod è a casa: «La guerra non è finita a livello nazionale. Dobbiamo assicurarci che i responsabili di questa vicenda, in primis il primo ministro Benjamin Netanyahu, si facciano da parte». Il 7 ottobre 2023, Nimrod è stato preso da un carro armato al confine con Gaza. Con lui c’erano quattro soldati-compagni: sono morti tutti nell’attacco. 

Avinatan Or

L’ultima cosa che Avinatan Or ha visto da libero è stata la sua fidanzata che veniva portata via su una moto, schiacciata dai corpi di due miliziani. Noa Argamani allungava le braccia verso di lui mentre implorava di lasciarla andare. Fino a qualche ora prima, i due ballavano felici al Nova Festival. Poi, Avinatan è stato portato a Gaza senza sapere che fine avesse fatto Noa. È uno dei pochi ex ostaggi ad aver passato due anni completamente solo, nascosto nella zona centrale della Striscia, in condizioni estremamente dure. Ha raccontato di essere stato sistematicamente affamato e, secondo un primo referto medico, ha perso tra il 30% e il 40% del peso. Tra i venti rilasciati, Avinatan è parso il più sofferente. È riuscito a festeggiare però il ritorno a casa. Non sapeva niente di quello che stava succedendo fuori dal tunnel, la sua prigione. Non aveva idea che Noa fosse stata liberata in un blitz dell’esercito israeliano. «Sono passati due anni dall’ultimo momento in cui ho visto Avinatan, l’amore della mia vita. Due anni in cui i terroristi ci hanno rapito, mi hanno messo su una motocicletta e mi hanno strappato via da Avinatan davanti agli occhi del mondo intero», ha scritto la ragazza sui social. «Ognuno di noi ha affrontato la morte innumerevoli volte, eppure, dopo 738 giorni di separazione, stiamo finalmente muovendo di nuovo i primi passi insieme, nello Stato di Israele».

Evyatar David

Evyatar David è il ragazzo che in un video pubblicato da Hamas abbiamo visto scavarsi la fossa. È quel giovane a cui si potevano contare le ossa e che, in ginocchio in un tunnel a Gaza, accettava una lattina di lenticchie dalla mano gigante di un miliziano. Evyatar, racconta la famiglia, è stato sottoposto a gravi abusi fisici e psicologici. Il padre ha commentato che «è ancora molto debole e scheletrico». Dai primi esami risulta che ha una grave carenza di minerali, vitamine, nutrienti, «ma è vivo». Nei tunnel della Striscia ha passato momenti di terrore, tra le bombe e l’isolamento. Il 7 ottobre era stato rapito con l’amico d’infanzia, Guy Gilboa-Dalal, durante il Nova Festival, dove Hamas aveva ucciso oltre 300 persone. Appassionato di musica, Evyatar stava lavorando in un bar per raccogliere soldi per un viaggio in Thailandia. Anche l’amico Guy è tra i venti appena liberati, ma quel sabato nero dell’ottobre 2023, due dei loro amici sono stati uccisi dai miliziani. La famiglia racconta che in questi mesi, gli uomini di Hamas hanno riempito la testa di Evyatar di falsità. Gli dicevano che Israele si era dimenticato di lui e che il Paese era stato raso al suolo. Ma questo è già il passato. I genitori festeggiano: «Ce lo sentivamo che ce l’avrebbe fatta. Dopo due anni di sofferenza, è qui con noi. Ora inizierà un nuovo percorso». 

14 ottobre 2025

14 ottobre 2025

Fonte Originale