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Luca Liens, il coraggio d’acciaio sulla discesa tra le trincee di Ledro

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Un groppo alla gola, gli occhi umidi, la terra bagnata, le rocce che sono scalini inabissati dentro le trincee della Prima Guerra Mondiale. Davanti un atleta che scende, come me, stanco. Sono passate tre ore dallo start, stiamo affrontando il precipizio tecnico dopo Cima d’Oro. Lui è amputato, la sua gamba luccica di freddo grigio. Chiudo gli occhi un attimo e scoppio a piangere.

Guardo il pettorale, è il numero cento. Luca Liens. Ne avevo sentito parlare. Runner e snowboarder capace di correre la Half Marathon des Sables Wadi Rum nel 2022, il trail Blanc du Semnoz e la Annecy Relay-Race nel 2023. Siamo sul tracciato della Grand Finale della Golden Trail World Series 2025, Luca è ambassador di Salomon grazie al progetto Hopper, una collaborazione tra Airbus Humanity Lab e gli studenti di ingegneria dell’IMT Mines Albi di Tolosa, in Francia.

Si ferma, si appoggia ad una roccia. Ci sono salti di oltre mezzo metro, i muscoli sono provati da più di millecinquecento metri di dislivello e l’equilibrio è precario. Lo guardo negli occhi, mi fa passare. “You’re not a runner, you’re a hero”, riesco a dire prima di dargli il cinque. Mi fa cenno che non serve che mi fermi, è pur sempre una gara. E lo lascio lì, gli occhi lucidi, e ripiombo dentro il risucchio della gravità, dentro una discesa che non finisce mai.

È questa la fotografia che mi porto a casa dalla Valle di Ledro, che ha ospitato la finale del circuito internazionale di Salomon che ogni anno riunisce i migliori trail runner del mondo.

Diciamo che non meritavo quel pettorale: nella finale maschile c’erano poco più di 150 atleti, praticamente tutti divinità del cielo, giovani dai cuori forti e dai muscoli leggeri. Gli amatori? Eravamo una decina, a spanne. Ma l’idea era quella di conoscere il futuro di questo sport, di provare una gara breve (per loro), ad altissimo tasso tecnico (per tutti) e titanica (per me e per quei pochi che correvano al mio ritmo e coi quali ho scambiato parole e sorpassi lungo il percorso).

Imbarazzante raccontare la cronaca sportiva della (mia) gara, quando il primo è arrivato io ero ancora a lottare a fil di cielo. Tra Cima Parì, Cima Sclapa, Bocca Dromaè e Cima d’Oro, si sono alternati tratti esposti, salite ripide e discese tecniche. Questo è skyrunning: picchi che si raggiungono con le corde, creste a strapiombo, vedute mozzafiato sul Lago di Ledro e, in lontananza, sullo specchio del Lago di Garda (ahimè, la nebbia non ha aiutato ma si percepiva l’infinito, laggiù, sotto la coltre bianca).

Se aveste voluto qualcosa di semplice, forse sarebbe stato meglio guardare la gara in televisione, su Warner Bros Discovery, trasmessa in diretta in 96 Paesi. E lo ha pensato anche quel giovane 21enne che ho visto a terra, aiutato dal personale medico, avvolto in un telo termico in attesa che l’elisoccorso realizzasse una manovra rischiosa e spettacolare, adagiandosi su un lato della cresta per riportarlo a terra e curare il trauma cranico che aveva riportato. Poco prima c’era un salto di due, tre metri. Sarà volato giù, io ci ho zompato dentro sedendomi a terra. A distanza, lo osservavano due amatori, come me. Mi è scappato un sorriso: si stavano stappando una piccola lattina di birra. Comfort drink, credo.

In cima non era stato semplice arrivare. Ma l’affetto del pubblico è stato impagabile. La coppia col cane che ti lascia libero il sentiero incitandoti. “Go!”. Il sorriso della ragazza, bellissima, biondissima e irraggiungibile, due metri avanti a te. “Good Job!”. I professionisti dell’incitamento, con casse e campanacci. Il ristoro con la banda musicale che fa vibrare la valle e si apre a te con canzoni epiche in una sorta di tunnel emozionale. All’improvviso, ti senti un eroe. Il sole autunnale, le raffiche di vento, le radici esposte che ti fanno inciampare, i salti da una trincea all’altra, e attenti a non caderci dentro. I compagni di viaggio, coi quali si ironizza che noi siamo in lotta per non arrivare ultimi, loro sono già arrivati.

A proposito di “loro”, i top runner: impressionante rivederli nei video, le loro discese sono un’esperienza mistica. Rimbalzano a terra, letteralmente. Anche se… a qualcuno andrebbero tirate le orecchie. Che scovare tra l’erba bustine e cilindretti di integratori svuotati non è mai bello (ma sicuramente saranno scivolati per sbaglio, e sicuramente quelli che non ho raccolto io saranno stati visti dal servizio scopa, quattro signori che meritano un applauso).

Infine, la lunga discesa. Sarebbe bello raccontare di come in questi casi si apra la falcata, di come ci si involi verso il lago laggiù con il vento negli occhi e l’anima libera. Ma a quelli come noi toccano incubi nella mente, piccole cadute fuori sentiero, crampetti, fitte alla schiena. A proposito: era la prima gara seria che tentavo dopo una brutta ernia che mi ha bloccato tra casa e camminate per oltre sei mesi. Al fisioterapista non lo diciamo, lo capirà da solo (forse) la prossima volta che ci si vedrà.

Perché ormai siamo tornati a Ledro, lo speaker non urla più: le premiazioni sono terminate, l’eco dei flash è lontano. Un bambino però ancora applaude, capisce che chi più a lungo ha lottato, più ha meritato di arrivare. E poi c’è quell’istante in cui tutto tace: è il silenzio in cui capisci che devi sempre credere in te stesso. Che è un altro modo di amare la corsa in montagna. Ma questo Luca già lo sapeva.

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14 ottobre 2025 (modifica il 14 ottobre 2025 | 17:16)

14 ottobre 2025 (modifica il 14 ottobre 2025 | 17:16)

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