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Ilicic: «Senza il Covid con l’Atalanta saremmo arrivati in finale di Champions. Ci è mancato un trofeo»

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«Avevo chiuso con la Sampdoria e il Napoli, ma prima Gasperini e poi Percassi bloccarono tutto». Basta una sola frase di Josip Ilicic, l’eroe atalantino degli anni della cavalcata europea, per riassumere cosa lo sloveno è stato per Bergamo: un fantasista capace di magie, 60 gol e 44 assist in 173 presenze, conteso da tutti ma amato in modo viscerale dalla piazza orobica, che se lo tenne stretto anche quando un’infezione, il Covid e la depressione bussarono alla porta.

Nella lunga intervista a La Gazzetta dello Sport, Ilicic ripercorre i suoi anni a Zingonia, dal 2017/2018 al 2021/2022, in quella che per lui tuttora è casa e famiglia: «Arrivai all’Atalanta che avevo chiuso con la Samp, ma il giorno prima delle visite mi telefonò Gasperini. “Vieni a giocare per me?”, chiese. “Mister, vado a Genova, non posso”. “Ti chiamerà Sartori, tranquillo”. Quando gli dissi quanto avrei guadagnato lui mi rispose: “E quindi? Che problema c’è?”. Lì ho scoperto cosa significa fare un ritiro con Gasperini». Ovvero, «tra un allenamento e l’altro non riesci a dormire: le gambe pulsano, sei stanco, ti viene da vomitare. Ma se superi il test di ritiro, tre settimane da doppie sedute e corse nei boschi, allora ribalti gare grazie a quella corsa, duravamo 90 minuti, gli altri dopo un’ora erano cotti. Ogni tanto con Gasp c’erano discussioni, ma quando uno si ama si litiga».

Quell’attacco con Pasalic, il Papu Gomez e Muriel, fece l’invidia di mezza Italia: «Tanto che col Napoli era fatta, parlai con Ancelotti, poi Percassi bloccò tutto. Mi chiamarono anche Milan e Bologna, con il povero Mihajlovic. Ma non piango: meglio da protagonista a Bergamo che uno dei tanti in una cosiddetta big. Alla fine se ho lasciato l’Atalanta è stato solo per colpa dei tendini. Provai punture, cure, ma niente. Nel 2022 Monchi mi chiamò a Siviglia e dissi anche a lui di no. Alla fine, sono tornato a Maribor. Quando ho salutato Bergamo ero triste, ma al tempo stesso felice di tornare a casa dopo 12 anni. A Bergamo sono tornato a vedere Atalanta-Real nel 2024, pensavo che la gente si fosse dimenticata, e invece i tifosi cantavano. Me lo disse anche Modric. “Non giocavi, ma lo stadio era tutto per te”. Con quel gruppo ci sentiamo ancora, anche se siamo sparsi per il mondo. Ci è mancato un trofeo, ma sono felice di aver visto l’Atalanta vincere l’Europa League del 2024. Quando avrò più tempo mi farebbe piacere rivedere tutti».

La notte di Valencia, col suo poker di Champions, è uno dei suoi ricordi più belli, da Pallone d’Oro: «Ero in gran forma. Non so se fossi da Real, ma nel 2010, a Palermo, misi piede in palestra per la prima volta. Magari se l’avessi fatto già a 17 anni… In molti mi dicono anche: “Ma se non fosse successo ciò che è successo, il Covid, la depressione e tutto, dove saresti arrivato?”. Non lo so, ma saremmo arrivati in finale di Champions. Ero in uno stato di forma mai visto e non avevamo paura di nessuno. Viene il Real? Ok, ma dimostra che sei più bravo di noi. Questo era il nostro pensiero. E l’Atalanta, a Valencia, ha cambiato la storia del calcio. Due anni fa ho incontrato Paratici a Londra. Mi disse che avevamo l’attacco da scudetto. Cos’abbiamo fatto noi non l’ha fatto nessuno. A quel gruppo è mancato un trofeo». Per colpa della finale di Coppa Italia del 2019, persa con la Lazio con il mano di Bastos: «Non ho mai visto Percassi così incazzato. Mai. Era rigore ed espulsione. Ho perso 4 finali, ma quella resta la peggiore».

Infine, Ilicic apre il suo cuore alla lotta alla depressione e alle maldicenze: «Non sapevo se sarei tornato a giocare, e quando sei chiuso in casa allora inizi a pensare. Sono stato 42 giorni a Bergamo senza la mia famiglia. Ho sofferto. I soldi, i contratti, non mi importava più di nulla. Non stavo bene. E le voci su mia moglie, niente di più falso, mi addoloravano». La persona che gli è stata più vicina è Gasperini: «Non posso dimenticare ciò che ha fatto per me. Nel 2018 fui ricoverato in ospedale per un’infezione. Avevo paura di non svegliarmi. Lui dopo una settimana mi disse “Josip, alzati che dobbiamo giocare”. “Mister, non sto in piedi”. “Non mi interessa, stai in campo”. Lo fece anche a Valencia. Dopo il terzo gol chiesi il cambio, lui mi ignorò e segnai il quarto. Mi ha spinto oltre i limiti che pensavo di avere».


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14 ottobre 2025

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