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Dazi Usa-Cina, al via le tasse portuali cinesi sulle navi Usa (56 dollari a tonnellata, poi 157): «Combatteremo fino alla fine»

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La risposta di Pechino è arrivata puntuale, e tonante. Nel giorno in cui Washington ha dato il via ai nuovi dazi sulle navi cinesi, la Repubblica Popolare ha risposto con una misura speculare: da oggi le navi americane che attraccano nei porti cinesi pagheranno una tassa speciale, una sorta di «pedaggio di rappresaglia» che sancisce l’apertura di un nuovo fronte nella guerra commerciale tra le due maggiori economie del pianeta.

«Se volete combattere, combatteremo fino alla fine. Se volete negoziare, la nostra porta rimane aperta», ha dichiarato un portavoce del ministero del Commercio, con parole che riportano alla memoria le fasi più tese del confronto tariffario esploso nel 2018. Ma il terreno dello scontro, questa volta, non sono più solo chip e terre rare: è il mare, il cuore del commercio mondiale.

Cosa prevede la misura cinese

La misura cinese — ha spiegato venerdì scorso il ministero dei Trasporti cinese— prevede tasse portuali iniziali di 400 yuan a tonnellata netta, circa 56 dollari, che saliranno gradualmente fino a 1.120 yuan entro il 2028. Colpiranno tutte le navi di proprietà, gestione o bandiera statunitense, nonché quelle costruite negli Stati Uniti o controllate da società americane per più del 25%. È una replica speculare ai provvedimenti varati da Washington sotto la cosiddetta Section 301, con cui gli Stati Uniti hanno accusato Pechino di pratiche sleali nella cantieristica, nella logistica e nel trasporto marittimo.

Le sanzioni cinesi

Dietro la mossa di Pechino, spiegano fonti diplomatiche citate da Reuters, c’è l’intenzione di «difendere la sovranità economica» del Paese dopo che la Casa Bianca ha annunciato nuovi dazi al 100% sui beni cinesi, in risposta al giro di vite di Pechino sull’export di terre rare. «È una sfida aperta, ma anche un messaggio politico — osserva un analista di Shanghai, la cui voce è riportata dall’agenzia —: la Cina non intende più subire».

Non a caso, nelle ultime ore, Pechino ha sanzionato cinque filiali statunitensi del gruppo sudcoreano Hanwha Ocean, accusandole di aver «contribuito e sostenuto» l’indagine americana contro l’industria cantieristica cinese. Tutte le attività e le transazioni di queste società in territorio cinese sono state vietate. Un segnale diretto a Washington, ma anche a Seul, sempre più stretta tra gli interessi dei due giganti.

L’impatto delle nuove tariffe 

Secondo Bloomberg, l’impatto delle nuove tariffe si farà sentire presto: quasi il 13% delle petroliere e l’11% delle portacontainer mondiali potrebbero rientrare nei criteri imposti dai due Paesi, con costi aggiuntivi stimati in oltre 3 miliardi di dollari entro il 2026. Il Financial Times sottolinea come questa guerra marittima rischi di mettere in ginocchio le grandi compagnie internazionali, costrette a ripensare rotte, flotte e registri di bandiera per evitare le nuove imposte.

Le accuse reciproche e i contatti informali

Ma dietro le cifre si nasconde un confronto ben più ampio. Gli Stati Uniti, che oggi detengono appena lo 0,1% della cantieristica mondiale, accusano la Cina di drogare il mercato attraverso sussidi statali e condizioni di favore per i propri colossi, che dominano oltre il 50% del settore globale. Pechino respinge le accuse e ribalta la prospettiva, denunciando «l’abuso del concetto di sicurezza nazionale» da parte americana e le «misure discriminatorie che danneggiano gravemente gli interessi cinesi».

A Washington, il segretario al Tesoro Scott Bessent ha definito la risposta cinese «un segno di debolezza», sostenendo che Pechino «è in piena recessione e cerca di trascinare il resto del mondo con sé». Ma, dietro le dichiarazioni muscolari, la Casa Bianca lascia filtrare anche un’apertura: contatti informali sarebbero in corso per un incontro tra Donald Trump e Xi Jinping a margine del vertice Apec di fine ottobre in Corea del Sud.

Gli effetti sui mercati asiatici

Intanto, i mercati osservano con crescente inquietudine (qui gli aggiornamenti sulle Borse). Le Borse asiatiche hanno aperto questa mattina in rosso. A Tokyo il Nikkei (-2,58%) è crollato e Hong Kong ha perso l’1,79%, mentre Shanghai  ha lasciato sul terreno lo 0,65% e Shenzen l’1,67%. In flessione tutti i titoli del trasporto marittimo e segnali di nervosismo si sono registrati anche sulle rotte dell’energia. L’escalation tra Washington e Pechino rischia infatti di colpire le catene logistiche globali proprio mentre l’economia mondiale cerca un fragile equilibrio dopo mesi di rallentamento. Dalle terre rare al commercio marittimo, la contesa tra le due potenze appare ormai come una guerra economica sistemica. «La Cina non vuole essere più solo la fabbrica del mondo», osserva il Guardian, «ma neppure accetta di veder ridimensionata la sua influenza sul mare».

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14 ottobre 2025

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