
Ieri è stata una giornata incredibile, quasi surreale, un’altalena di emozioni. Dopo due lunghi anni di attesa, il momento è giunto all’improvviso. Gli israeliani hanno tutto il diritto di festeggiare e di lasciarsi trasportare dalla commozione: gli ostaggi sono finalmente tornati a casa, i soldati si ritirano, cessano i combattimenti. Anche per i palestinesi, oggi tacciono le armi, e anche loro fanno ritorno alle loro case. Per la prima volta dopo anni, per entrambi i popoli inizia il processo di guarigione.
Il piano di Trump, tuttavia, è pieno di lacune e inesattezze. Non è realmente «un piano di pace», come lo definisce lui, quanto piuttosto un accordo per il cessate il fuoco, e per il momento, questo è più che sufficiente. Quello che succederà in futuro dipenderà non tanto dai due protagonisti, che non volevano e non vogliono confrontarsi, quanto dalle pressioni che saranno applicate a entrambi. Gli Stati Uniti faranno pressione su Israele; gli stati arabi, specie Qatar, Turchia ed Egitto, metteranno Hamas alle strette. Se queste pressioni avranno effetto, la guerra potrebbe anche non ricominciare.
Nel frattempo, Netanyahu si appresta a riscrivere la storia. Oggi afferma che i risultati ottenuti sono frutto della sua strategia, che la pressione militare da sola ha costretto Hamas ad arrendersi, grazie alle sue insistenze contro le obiezioni sollevate dalle forze armate di Israele. Come già accaduto tante volte in passato, questa è una menzogna, un tentativo di strumentalizzazione.
Lo scorso mese di agosto, durante un discorso tenuto a Gerusalemme, Netanyahu illustrava «cinque condizioni per tutelare la sicurezza di Israele e arrivare alla vittoria». Eppure, quattro di quelle cinque condizioni non sono state rispettate nel presente accordo. Hamas non è stato disarmato; Gaza non è stata smilitarizzata; Israele non si è assicurato il pieno controllo sulla Striscia; e non ci sono garanzie per l’insediamento di «un’amministrazione civile che non sia né Hamas né l’Autorità palestinese». Persino la quinta condizione, il ritorno di tutti gli ostaggi, vivi e morti, non è stata finora pienamente adempiuta.
Con questo non intendo dire che l’accordo non avrebbe dovuto essere firmato. Al contrario: è stato il primo passo nella giusta direzione. Ma non è affatto una vittoria, se guardiamo alle definizioni e ai principi elencati da Netanyahu meno di due mesi fa. E adesso, quando sostiene che l’accordo fa parte del suo piano, è un successo straordinario, e la prova di aver «raggiunto la pace grazie alla forza» (come ha indicato su Twitter), ancora una volta non dice la verità. Netanyahu sa mentire, e noi ci siamo abituati.
Fintanto che le pressioni esercitate su di lui continueranno ad estrarre concessioni e a produrre buone notizie, come abbiamo visto negli ultimi giorni, può mentire a piacimento. Ma noi conosciamo la verità. E ci ricorderemo. Proprio come mezzo milione di persone hanno urlato «Buuuu!» quando Witkoff ha fatto il nome di Netanyahu, durante la manifestazione di sabato sera nella «Piazza degli Ostaggi, milioni di cittadini urleranno «Buuuu!» alle prossime elezioni e lo manderanno a casa.
La lotta, tuttavia, non è finita. Persino in questa giornata storica, Netanyahu e il suo governo ci hanno ricordato esattamente chi abbiamo davanti. Per il discorso di Trump alla Knesset, sono stati deliberatamente esclusi sia il presidente della Corte Suprema Yitzhak Amit che il ministro della giustizia Gali Baharav-Miara, due uomini detestati per essere rimasti fedeli allo stato di diritto contro l’attacco sferrato dal governo alla democrazia. Persino nel giorno che avrebbe dovuto simboleggiare unità e riconciliazione, Netanyahu e i suoi non sono riusciti a mettere da parte odio e brama di vendetta.
Ed è proprio su questo aspetto che la giornata odierna dovrà richiamare la nostra attenzione: che al di là della gioia e del sollievo che ci ha regalato, resta ancora molto lavoro da fare per salvare il nostro Paese, per sottrarlo alla morsa di un governo fallito, corrotto e vendicativo e per cominciare, passo dopo passo, a riportarlo sulla strada della ragione.
14 ottobre 2025
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