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Massimo Gramellini: «La mia fedina matrimoniale (macchiata), “la Definitiva” e il mio viaggio al centro dell’amore»

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Il Simposio, ovvero di cosa parliamo quando parliamo d’amore dal quarto secolo avanti Cristo in poi. Tutto comincia da lì, anche se, probabilmente, non doveva essere molto diverso in precedenza.

Invece, è dai commensali del Simposio che scivolano inaspettatamente le tanto attese risposte ai misteri e ai capricci di Eros. Tanti aforismi, tante metafore, qualche epigramma.

La risposta esaustiva è di una decina di parole: «L’amore non ha un perché. L’amore è il perché»; e ispira anche il titolo dell’ultimo romanzo, che poi non è tanto un romanzo quanto un’autobiografia sentimentale, del giornalista, scrittore e conduttore televisivo. In libreria, per Longanesi, dal 14 ottobre.

Ma forse nessuno ha mai avuto a disposizione una quantità di materiale di prima mano maggiore di quella del titolare di una popolare rubrica di posta del cuore.

Se Donna Letizia o la Signorina Cuorinfranti (che, nel racconto di Nathanael West, in realtà era un uomo) ascoltavano, ammonivano o esortavano, senza svelare nulla delle loro personali esperienze, Gramellini in L’amore è il perché gioca a carte scoperte fin da pagina 33: «Il mio curriculum sentimentale è condensabile in una serie di vigliaccate interrotte qua e là da un soprassalto di orgoglio o di disperazione che ho fatto passare per coraggio, ma solo per potermi addormentare meglio la notte sognando di essere DiCaprio nel finale di Titanic, invece del solito don Abbondio. E la mia fedina matrimoniale, macchiata dal crimine di ben due divorzi, mi autorizza più a chiedere consigli che a darne».

Va anche precisato che quel curriculum sarà aggiornato nei capitoli successivi dall’arrivo della terza moglie, Simona, «la Definitiva», e da una promessa: «Non è la prima volta che mi sposo, ma di sicuro è l’ultima».

Pare certo, comunque, che, quando Platone gli pestò un alluce, invitandolo ad Atene per una chiacchierata conviviale «sull’amore», Gramellini avesse bisogno di sentirsi dire, anche da una distanza di 25 secoli, che rischiare è bello. Soprattutto se si tratta di credere al mito dell’anima gemella e di mettersi, con fiducia e pazienza, al suo inseguimento.

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Un po’ grecista e un po’ Woody Allen, l’autore si lascia guidare da Aristofane nella speranza di incontrare la persona che detiene «l’altra metà del biglietto della lotteria». Con divertito scetticismo: «Ammettiamo che ci capiti persino di incontrarla questa creatura più rara di un francobollo raro, anche se le probabilità che ciò avvenga rimangono piuttosto basse. (Una su 562, dicono le statistiche, dieci volte più difficile che diventare milionari). Resta il problema non secondario che potrebbe non ricambiarci. O essere già impegnata».

Non era il caso di Aspasia quando, ventenne, da Mileto arrivò ad Atene e scoprì di trovarsi nella capitale delle libertà per tutti, donne escluse. «Perciò fece l’unica cosa che una donna libera potesse fare a quel tempo, ad Atene, per mantenersi da sola — spiega Gramellini —. Aprì un bordello, che, gestito da una donna così istruita e brillante, divenne rapidamente un salotto dove si dava appuntamento la meglio gioventù cittadina».

Perfino Socrate tentò di corteggiarla, ma Aspasia lo tenne amabilmente a bada: «Restiamo amici, gli disse, lanciando una moda che dura tutt’ora». Di tutti i convitati al banchetto, il padre della filosofia occidentale sembrava, in ogni caso, il meno romantico: «Voi cercate di far apparire bello l’amore a coloro che non lo conoscono. Certo non a chi lo conosce». Commenta Gramellini: «Socrate è fatto così. È un tafano. Ti si appiccica addosso e ti tempesta di dubbi e di domande».

È attraverso le parole di Aspasia, infatti, che Platone riesce a stanare il giornalista del terzo millennio dalla sua «zona di conforto, dopo essersi arreso all’idea che il lasciarsi amare fosse l’unica condizione di vita auspicabile»; e lo convince che «l’amore non si trova in chi lo riceve, ma in chi lo dà». Quanto basta per sconvolgerlo, anche se non per guidarlo subito al Santo Graal, la ricetta segreta dell’amore felice e corrisposto «fino alla fine», anzi, «senza fine».

Capita raramente, come al titolare della rubrica 7 di cuori (sul magazine «7» del «Corriere della Sera»), di chiedere suggerimenti in proposito ai lettori, tantomeno di ascoltarli: il caso vuole, tuttavia, che fosse stato proprio uno di loro a ricordargli le parole di Jim Morrison, «rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire».

Si torna al Simposio nell’antica Atene, dunque, e all’intervento di «un certo Pausania», secondo il quale esistono due tipi di amore: «Uno sensuale, interessato solo ai corpi, e l’altro spirituale, totalmente dedito alle anime — riferisce e dissente Gramellini —. Aristofane aveva avuto la tentazione di ridergli in faccia e si era trattenuto a fatica, tanto che gli era venuto un attacco di singhiozzo». Una scena che avrebbe deliziato il regista di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, ma non avete mai osato chiedere.

Il tema, però, era e continua a essere serio. Soprattutto quando Gramellini è chiamato a discutere i non meno tribolati intrecci coniugali ed extraconiugali di alcuni dei suoi più cari amici. E magari cerca di risolverli consigliando anche a loro di appellarsi alla saggezza di Platone, «che non era platonico, o almeno non nel senso che abbiamo finito per dare a quell’aggettivo».

Il viaggio al centro dell’amore è ancora lungo e accidentato, per molti, ma non per tutti. A volte basta una immagine che appare sullo smartphone a illuminare il cammino: la foto di «un uomo molto anziano che imboccava una donna molto anziana in un fast food». Lei probabilmente ha l’Alzheimer. Lui, le dita irrigidite dall’artrosi. Chi ha immortalato la scena postandola sui social ha scritto: «Per tutta la vita ho sognato un amore così».
Un amore che non richiede «perché»

13 ottobre 2025 ( modifica il 13 ottobre 2025 | 09:01)

13 ottobre 2025 ( modifica il 13 ottobre 2025 | 09:01)

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