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La lezione di Jane Goodall

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Domani è la Giornata mondiale degli animali, che si celebra nel giorno di San Francesco (che dal prossimo anno, in Italia, tornerà ad essere festa nazionale). In questi giorni associazioni, enti e aziende stanno inondando le nostre caselle mail di contenuti più o meno attinenti a questa ricorrenza, segnalando iniziative, lanciando appelli, proponendo decaloghi di consigli per la miglior gestione di questa o quella specie.

Ma se quest’anno c’è qualcosa che davvero può farci pensare al messaggio di Francesco e al suo Cantico delle Creature, senza dubbio è il ricordo di Jane Goodall, che si è spenta due giorni fa, all’età di 91 anni, dopo una vita interamente dedicata allo studio e alla protezione degli animali. Alcuni in particolare, come gli scimpanzé, che sono stati la sua ragione di vita e con cui ne ha letteralmente condivisa una parte, trascorrendo lunghi anni con loro in Tanzania. Ma anche tutti gli altri. Un paio di anni fa aveva sostenuto, assieme a 140 altre personalità del mondo scientifico, la campagna «End the cage age» per chiedere all’Ue il superamento dell’allevamento in gabbia di animali da reddito, nella convinzione che andasse riconosciuta una vita dignitosa anche a questi esseri senzienti, nonostante siano destinati a diventare cibo e abbiano la loro sorte già scritta dalla nascita.

Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscerla di persona nel 2014, a margine di un convegno scientifico al Parco Natura Viva, dove oltre ad intervenire nel dibattito diede anche una stupefacente dimostrazione di come fosse in grado di comunicare con gli scimpanzé utilizzando il loro stesso linguaggio. In quell’occasione, a margine dell’intervista per il Corriere della Sera, era particolarmente felice per il Premio Nobel per la Pace assegnato proprio due giorni prima a Malala Yousafzai, la ragazzina pakistana che aveva sfidato i talebani (che avevano poi cercato di ucciderla, non riuscendoci per miracolo) rivendicando il diritto di poter studiare. Jane Goodall, che tra gli altri suoi tanti titoli aveva anche quello di «Messaggero per la pace delle Nazioni Unite», rivedeva se stessa da giovane, riconosceva in Malala la stessa determinazione e la stessa voglia di studiare che aveva avuto lei. «Ma Malala – disse – ha dovuto essere molto più coraggiosa di me. Per questo il suo esempio vale più del mio». Goodall non era insomma solo la donna che sussurrava alle scimmie; era soprattutto la studiosa che parlava a tutti noi (e così titolammo sul Corriere). Nel piccolo passo compiuto da Malala, mica tanto piccolo in realtà, vedeva riflesso il grande passo compiuto quel giorno dall’umanità, capace di riconoscere il primato del diritto sulla sopraffazione, dello studio sull’ignoranza.

Sul Corriere ha parlato ieri di Jane Goodall anche Telmo Pievani. Ed è stato riproposto il ritratto che di lei fece un anno fa l’etologo Enrico Alleva, in occasione del 90esimo compleanno. Silvia Morosi si è invece concentrata su un’immagine, la più significativa delle tante che sono diventate iconiche della sua lunga carriera: l’abbraccio che le ha regalato Wounda, uno scimpanzé che aveva salvato e curato e che si apprestava a tornare in libertà. Prima di tornarsene al suo ambiente, il primate si girò e si intrattenne caldamente con Jane. Il video di quell’abbraccio fece il giro del mondo. Quel gesto divenne il simbolo della caduta delle barriere tra noi e gli animali. Che per persone come la dottoressa Goodall di fatto non sono mai esistite.

3 ottobre 2025 ( modifica il 3 ottobre 2025 | 16:03)

3 ottobre 2025 ( modifica il 3 ottobre 2025 | 16:03)

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